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Un anno di destra al governo: con Giorgia Meloni al primo posto c’è la cultura del merito. Giorgio Napolitano: quell’errore (fatale) del 2011 che spalancò la porta al populismo e ai giochi di palazzo

Licandro Licantropo
Settembre 24, 2023
Giorgia Meloni

“Abbiamo lavorato tantissimo, i risultati non sono quelli che speravamo di vedere. Sono certa che ne verremo a capo, ma questo tema merita una seconda fase di impegno”. Ad un anno dalla vittoria elettorale il presidente del consiglio Giorgia Meloni fa il punto della situazione. Ammette le difficoltà sulla questione dei migranti, a fronte di numeri enormi e di decisioni che hanno comunque sempre consentito sia il salvataggio che l’accoglienza di ogni essere umano.

Ma in ogni caso la vittoria del centrodestra di un anno fa e la successiva azione di Governo hanno invertito la rotta e cambiato perfino il modo con il quale l’Italia viene percepita in Europa e sul’intera scena internazionale. Ha detto Giorgia Meloni: “Vedo l’orizzonte dei 5 anni di governo e quell’orizzonte mi serve anche per realizzare le grandi riforme di cui questa nazione ha bisogno”. E le ha citate le riforme per le quali sono stati posti primi mattoni: quella fiscale, quella costituzionale, quella della giustizia. Ha continuato: “E poi la grande riforma del merito, particolarmente nella scuola e intervenire sull’emergenza abitativa”. E’ un’Italia credibile a livello internazionale, un’Italia che ha scelto da che parte stare sempre: a fianco dell’Ucraina e nella Nato. Giorgia Meloni ha avuto il coraggio di intervenire sia sul reddito di cittadinanza che sul Superbonus, due misure con il marchio di fabbrica dei Cinque Stelle, due misure che hanno prodotto danni al Paese e perfino nella maniera di (non) concepire il lavoro. Un’Italia che deve rimettersi in moto, rimboccarsi le maniche e guardare al merito. L’uguaglianza va garantita ai punti di partenza, poi però chi è più bravo e ha studiato maggiormente arriva prima e meglio degli altri. Non è semplice sradicare una cultura diffusa di livellamento verso il basso, ma il compito di una Destra moderna ed europea è questo. Con buona pace di chi si ostina a non analizzare le sconfitte, a negare l’evidenza e a criticare a prescindere.

Con la vittoria dell’anno scorso si è messo in moto anche un processo di carattere locale, che vede il centrodestra vincere nei Comuni e governare, guidare enti importanti come la Saf e l’Ater. Con un ruolo sempre maggiore di Fratelli d’Italia: tre parlamentari (Massimo Ruspandini, Paolo Pulciani, Aldo Mattia), due consiglieri regionali (Daniele Maura, Alessia Savo) presidenti come Fabio De Angelis (Saf) e Antonello Iannarilli (Ater). Davanti a tutto questo c’è chi continua a parlare di mancanza di classe dirigente. C’è un orizzonte di cinque anni per il governo nazionale e per quello regionale. Cambierà moltissimo, anche in Ciociaria. I profeti di sventura si mettano l’animo in pace.

LA MORTE DI NAPOLITANO

Re Giorgio, il primo presidente che venne eletto due volte, il migliorista, il comunista che varcò la soglia del Quirinale. La stampa nazionale e internazionale ha ricordato in diversi modi la figura e il ruolo di Giorgio Napolitano, due volte capo dello Stato. Per il Governatore del Lazio Francesco Rocca “l’Italia perde un esempio di stabilità e autorevolezza”. “L’elezione di Napolitano nel 2006 – scrive Rocca – ha segnato almeno due grandi svolte nel sistema politico e istituzionale del Paese: per la prima volta si insediava al Quirinale un ex dirigente del Partito Comunista Italiano fino alla rielezione, la prima nella storia della Repubblica del 2013”. Di Napolitano Rocca ricorda che nel “nel 2007, pochi anni dopo l’approvazione della legge che istituiva il Giorno del Ricordo delle Foibe e dell’Esodo, Napolitano ricordò “l’orrore e la congiura del silenzio” su quel dramma degli italiani del Confine Orientale”.

Si potrebbe discutere per giorni sull’azione politica di Giorgio Napolitano, definito da Henry Kissinger “il mio comunista preferito”. Però c’è stato un momento che ha segnato profondamente la storia politica del Paese. Quando nel 2011 Re Giorgio portò Silvio Berlusconi alle dimissioni da premier e a Palazzo Chigi andò Mario Monti. Napolitano non seppe leggere quella particolare situazione, che fu percepita come una manovra di Palazzo. Quello che successe dopo, specialmente in materia di pensioni, fu un’autostrada per il populismo e l’antipolitica che stavano avanzando. Giorgio Napolitano sottovalutò l’annunciato boom del Movimento Cinque Stelle e pronunciò la famosa frase: “Di boom conosco soltanto quello economico”. Era meglio mandare il Paese alle urne, affidarsi agli italiani piuttosto che cedere alla dittatura dello spread. Dal 2011 fino al 2022 ci sono stati due Governi tecnici, guidati da Mario Monti il primo e da Mario Draghi il secondo. Nel mezzo una serie di passaggi elettorali senza un vincitore vero e riconosciuto da tutti perché il sistema si era trasformato da bipolare (centrodestra e centrosinistra) in tripolare (anche i Cinque Stelle). A Palazzo Chigi sono andati, senza mai aver vinto un’elezione in maniera netta, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni. Fino a Giuseppe Conte, con il quale il Movimento Cinque Stelle è arrivato nella stanza dei bottoni. Il populismo al potere, con operazioni (il Superbonus su tutti) che hanno provocato una serie di problemi enormi al Paese. Soltanto nel 2022, con la vittoria di Giorgia Meloni e del centrodestra, si è ripristinato il principio che per meritare il Governo del Paese bisogna avere la maggioranza dei voti. Da Silvio Berlusconi a Giorgia Meloni dopo undici anni nei quali al timone dell’Italia c’è stato chi aveva perso le consultazioni politiche (o comunque non le aveva vinte). L’accordo tra la Lega di Matteo Salvini e i Cinque Stelle di Luigi Di Maio è stato poi sostituito da quello tra Luigi Di Maio e il Pd di Nicola Zingaretti. Con la regia di Matteo Renzi, che qualche settimana dopo fondò Italia Viva. Ce lo ricordiamo?

Nel 2011 Giorgio Napolitano (indubbiamente un gigante della politica italiana) ha però commesso un errore enorme, spalancando le porte della politica e delle istituzioni al populismo di un’antipolitica che si è ambientata benissimo nei comodi Palazzi romani.

GLI STATI GENERALI

Tra pochi giorni in Ciociaria ci saranno gli Stati Generali per cercare di capire come fronteggiare il fenomeno della desertificazione industriale. La strada l’ha indicata il parlamentare di Fratelli d’Italia Massimo Ruspandini: l’inserimento della Ciociaria nella Zona Economica Speciale, in modo da poter aver benefici di tipo fiscale e incentivi per le imprese. Ogni altro scenario avrebbe bisogno di tempo e si rischierebbe l’ennesimo fallimento. L’iniziativa di Ruspandini farebbe voltare pagina al territorio. Basterebbe sostenerla in maniera compatta, per dare maggiore forza al passaggio successivo, quando cioè si arriverà al confronto con il ministro Raffaele Fitto.

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