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Tempesta elettorale perfetta. Zingaretti lascia solo macerie politiche nel Lazio. Provincia: le ipocrisie del centrodestra

Licandro Licantropo
Nicola Zingaretti è ai saluti: domani si dimetterà da presidente della Regione Lazio e resterà deputato. Il Partito Democratico è spaccato, smarrito, diviso e pronto ad una resa dei conti micidiale.
Novembre 9, 2022
Nicola Zingaretti, ex governatore del Lazio

Il 18 dicembre le elezioni per indicare il presidente della Provincia, il 12 febbraio le regionali per rinnovare il Consiglio e scegliere il Governatore. Nel primo caso voteranno sindaci e consiglieri dei 91 Comuni della Ciociaria, nel secondo parola al “popolo sovrano”. In entrambi i casi gli equilibri molto probabilmente cambieranno.

IL CAOS POLITICO CHE LASCIA ZINGARETTI

Dopo dieci anni alla guida del Lazio, Nicola Zingaretti è ai saluti: domani si dimetterà da presidente della Regione Lazio e resterà deputato. Il Partito Democratico è spaccato, smarrito, diviso e pronto ad una resa dei conti micidiale. Il “modello Lazio”, se mai è esistito davvero, è stato spazzato via. Nicola Zingaretti non ha avuto la forza politica (ma probabilmente neppure la voglia) di difendere la candidatura del suo “vice”, Daniele Leodori. Il quale, capita l’antifona, si è defilato. Da giorni tra “Zinga” e l’assessore alla sanità Alessio D’Amato i rapporti sono inesistenti. I due si evitano e non si salutano. Domani D’Amato annuncerà la sua volontà di candidarsi alla presidenza. Lo farà al Teatro Brancaccio di Roma: ha il sostegno non soltanto di Matteo Renzi e Carlo Calenda, ma anche di esponenti del Pd come Matteo Orfini, Esterino Montino e Monica Cirinnà. Ma per il Pd romano di Goffredo Bettini l’imprimatur del Terzo Polo è un elemento a sfavore. Enrico Letta, Francesco Boccia, Goffredo Bettini e Nicola Zingaretti continuano ad insistere per trovare un accordo con i Cinque Stelle. Mentre Giuseppe Conte non cambia strategia: bombardamento politico a tappeto sulle macerie del Partito Democratico, con un obiettivo fin troppo evidente: logorarli e arrivare al sorpasso definitivo alle europee del 2024. Il Pd è paralizzato dai veti delle correnti e dall’assoluta mancanza di strategia della segreteria di Enrico Letta. Nel Lazio però sono venuti fuori anche tutti i limiti dell’azione politica di Nicola Zingaretti: il Campo largo ha rappresentato l’unica formula possibile per avere una maggioranza in aula, ma non c’è mai stata una reale amalgama. Inoltre il presidente della Regione ha “sacrificato” esponenti come Leodori e D’Amato, che più di tutti gli sono stati vicino in questa avventura politica. Il messaggio che è passato all’interno del partito è questo. Neppure si è stati in grado di analizzare con lucidità il risultato delle comunali di Roma: Roberto Gualtieri ha vinto al secondo turno, in un quadro di grande frammentazione perché sia Carlo Calenda che Virginia Raggi avevano ottenuto una buona affermazione. Il candidato del centrodestra Enrico Michetti ha perso nell’uno contro uno, ma la coalizione era risultata maggioritaria al primo turno. Il sistema elettorale del Lazio non contempla il ballottaggio: si vince e si perde subito. Sul piano politico Nicola Zingaretti lascia una situazione “balcanizzata” all’interno del Pd romano e laziale. Con un quadro terremotato delle alleanze. Per uno che era riuscito nell’impresa di vincere due volte consecutive (mai nessuno prima), francamente non è il massimo. A questo punto, dopo le dimissioni da Governatore, ci saranno le mosse di Goffredo Bettini e Giuseppe Conte.

LA PROVINCIA E I PRECEDENTI DEL CENTRODESTRA

Stanno facendo finta di meravigliarsi per l’ipotesi di una soluzione condivisa per la presidenza della Provincia. Antonio Pompeo ha fissato per il 18 dicembre le votazioni. Il Partito Democratico non ha un candidato di bandiera perché molti sindaci non hanno più di diciotto mesi di mandato davanti. Si tratta di una norma contenuta nella legge Del Rio. Francesco De Angelis, abituato a ragionare, non vedrebbe male un’indicazione bipartisan, favorita dalla natura di ente di secondo livello come la Provincia. Nel centrodestra alcuni stanno facendo finta di scandalizzarsi. Ma perché? Nel 2014 il centrodestra non presentò neppure il candidato alla presidenza: Forza Italia di Mario Abbruzzese e il Nuovo Centrodestra di Alfredo Pallone raggiunsero un accordo “istituzionale” con Francesco Scalia per appoggiare Antonio Pompeo. Scalia e Pompeo erano autorevolissimi esponenti del Partito Democratico. Nessuno fiatò. Nel 2018 un centrodestra lacerato da contraddizioni e “invidie” lanciò Tommaso Ciccone, che allora era sia sindaco di Pofi che coordinatore provinciale di Forza Italia. Come è andata a finire lo sappiamo tutti: Ciccone venne letteralmente affondato dai “franchi tiratori” nel segreto dell’urna. Uno spettacolo avvilente. Mai c’è stata una riflessione vera su quanto accaduto, mai si è cercato di ricomporre la coalizione. Oggi il centrodestra ha tanti sindaci che potrebbero candidarsi alla presidenza della Provincia. Per esempio Riccardo Mastrangeli (Frosinone), Roberto Caligiore (Ceccano), Maurizio Cianfrocca (Alatri), Lucio Fiordalisio (Patrica). Ma non esiste alcuna intesa, i partiti non si riuniscono e non si parlano da mesi. Come e perché un primo cittadino dovrebbe fidarsi? L’elemento più importante però è un altro: la Lega proprio non riesce a prendere atto che Fratelli d’Italia è il primo partito in Italia, nel Lazio, in Ciociaria, a Frosinone e in tantissimi Comuni. Non c’entra nulla il fatto che alle provinciali votano gli amministratori. I rapporti di forza sono evidenti e noti: questo non vuol dire che il candidato a qualunque tipo di appuntamento dovrà essere di FdI. Vuol dire che non può prescindere dal partito di Giorgia Meloni. Ma la dirigenza provinciale del Carroccio evidentemente preferisce perdere.

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