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Province: “Si torna al voto nel 2024” parola di Calderoli, ma cambia tutto (forse)

Cesidio Vano
Aprile 24, 2023
Roberto Calderoli

Con la legge di riforma della Delrio approvata entro l’autunno, si potrebbe tornare al voto diretto per le Province già dall’anno prossimo:a 10 anni dalla riforma voluta dall’allora Governo Renzi. E’ questa la ‘timeline’ illustrata dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, in un’intervista al Corriere delle Sera.

Al Senato si tenta una sintesi per un testo di legge unico

L’attività legislativa per “abolire” la legge Delrio – quella con cui nel 2014 l’allora governo Renzi intendeva dapprima svuotare di ruoli e funzioni gli enti provinciali, per poi abolirli definitivamente con la riforma costituzionale, bocciata però al referendum dagli elettori – ferve in Senato, dove in commissione Affari costituzionali si stanno esaminando diversi disegni di legge sull’argomento, provenienti da tutte le forze politiche (a dimostrazione che il superamento della riforma Delrio è una necessità avvertita da tutti), nel tentativo di giungere ad un testo di ‘sintesi’ da proporre all’Aula, forse entro giugno se non già prima.

Primo: elezione diretta di presidente e consiglio

Come saranno le nuove province, però, non è ancora facile comprenderlo: se qualcuno sogna di far rivivere le norme del Testo unico degli enti locali, per riavere le province così come erano prima, potrebbe restare deluso. Si lavora al momento per garantire l’elezione diretta degli organi: presidente e consiglio, con il ritorno delle giunte provinciali. Ma la soluzione potrebbe essere un ‘ibrido’ tra il sistema attuale, con presidente e consiglio di fatto scollegati tra loro (per durata e per impossibilità di sfiducia), e il vecchio sistema. Vedremo.

L’occasione di mettere mano alla legislazione sulle province, e quindi sugli enti locali, è però anche l’occasione ghiotta per far ‘passare’ qualche altra norma in materia: come sulle procedure per le elezioni dei sindaci nei piccoli comuni, oppure sulla candidabilità o meno dei sindaci dei comuni più grandi alla guida delle stesse province, ecc. ecc.

Il ministro Calderoli: via ballottaggio e voto disgiunto

A far discutere, invece, dopo le dichiarazioni di Calderoli sul ritorno a breve al voto per le Amministrazioni provinciali, sono state le parole relative alla necessità – ritenuta tale dal Ministro – di superare il ballottaggio per le provinciali. Si voterebbe, insomma, con un sistema più simile alla legge regionale che a quella per l’elezione del sindaco (la stessa che valeva prima della riforma Delrio) e questo perché Calderoli ritiene deleterio che un presidente di provincia possa essere eletto al secondo turno con meno voti di quelli che lo sfidante sconfitto aveva incassato al primo turno (è esattamente quello accaduto l’altra domenica alle comunali di Udine). Per Calderoli non si rispetterebbe così la volontà popolare. Quindi via il ballottaggio e via anche il voto disgiunto che rischia ogni volta di far ritrovare il neo eletto alle prese con un ‘anatra zoppa’.

L’idea di cancellare doppio turno e voto disgiunto piace poco al Pd, che chiede al governo se sia intenzionato a fare le riforme confrontandosi o tutte di testa propria.

Dice ‘ok’ anche l’Upi: con la Delrio nessun risparmio

Favorevole a un ritorno al voto diretto anche l’Unione delle province italiane che ha anche calcolato quanto (poco) rispetto agli annunci e alle prospettive ha fatto risparmiare agli italiani la legge Delrio: appena 26 centesimi a cittadino. “Il risparmio prodotto da quella legge – hanno detto dall’Upi – è stato di appena 16 milioni di euro”.

Per tornare al voto si spenderanno 250 milioni e forse ne vale la pena

A conteggiare, invece, quanto costerà far tornare gli italiani al voto per le province, c’ha pensato il ministero dell’Interno:i costi aggiuntivi della legge che prevede l’elezione diretta di presidente e consiglieri provinciali è di 223 milioni di euro, corrispondenti solo ai costi per la celebrazione delle elezioni (schede, scrutatori, presidenti di seggio e tutto ciò che riguarda la complessa macchina elettorale). A questi vanno poi aggiunte le risorse che la stessa Upi aveva calcolato, per le indennità degli eletti, intorno ai 52 milioni, mentre non c’è una stima relativa ai vari staff che ogni gruppo consigliare o assessore o lo stesso presidente deciderà di ingaggiare (ma questi ci sono anche adesso, nel silenzio della Delrio).

Ad ogni modo la ‘democrazia’ e il suo esercizio più alto, che è il voto, hanno un loro costo che non può e non deve essere eliminato. Del resto: quanto sta costando agli italiani, un ente-zombi, come la provincia post Delrio, dove la responsabilità politica limitata e sottratta alla censura dell’urna ha visto strade abbandonate, manutenzioni mai fatte, scuole su cui taciamo per carità cristiana, opere non realizzate e servizi scadenti?

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