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La grande illusione centrista, i seggi ristretti e Marianna Madia: la new entry Pd nella corsa alla Regione

Licandro Licantropo
Al netto delle ricostruzioni, delle speranze, delle ambizioni e perfino di qualche spruzzata di millantato credito, chi è che davvero deciderà le candidature nei collegi uninominali e in quelli proporzionali?
Luglio 25, 2022
Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti si dimetterà da presidente del Lazio dopo l’elezione a senatore, in modo che le elezioni regionali si tengano a gennaio. Come vuole Enrico Letta. In un momento come questo nei partiti decidono soltanto i capi. Nel frattempo è iniziato il cannoneggiamento nei confronti di Giorgia Meloni. Il New York Times ha aperto la strada con il solito articolo sui rischi che il nostro Paese correrebbe se al Governo andasse un partito post fascista. E’ un classico, da non sottovalutare però perché all’interno del centrodestra (Forza Italia) le ambiguità continuano. Al punto che Fabio Rampelli si è chiesto ad alta voce se il Ppe sa che Antonio Tajani ha un passato politico da monarchico. Il numero due di Berluscuoni è stato indicato come possibile premier, mentre poche ore fa Licia Ronzulli ha sentenziato che la questione della leadership può attendere. Non è così, ma la frase tradisce le manovre in corso per far saltare (o annacquare) l’ipotesi della Meloni. Oltre a Tajani circolano altri nomi: Franco Frattini e Giulio Tremonti per esempio. Mentre secondo L’Espresso a pensare a Palazzo Chigi è sempre lui: Silvio Berlusconi, redivivo Caimano. Mercoledì c’è il vertice del centrodestra e capiremo meglio. Intanto Giorgia Meloni chiederà almeno la metà dei collegi maggioritari.

SPAZI CHIUSI NEL PD E IPOTESI MADIA PER LA REGIONE LAZIO

Domani si riunisce la direzione nazionale del Partito Democratico. Nel Lazio l’unico davvero blindato è Nicola Zingaretti. Le ambizioni di tutti sono rivolte ai collegi proporzionali. Nel Basso Lazio ce ne sono due: Camera e Senato, entrambi comprendenti le due province di Frosinone e Latina. Da garantire l’alternanza di genere (uomo-donna o viceversa) e l’equilibrio tra i territori (pontino e ciociaro). Tre i nomi del frusinate che potrebbero essere chiamati alla contesa: Francesco De Angelis, Sara Battisti e Antonio Pompeo. Ma sarà difficilissimo per tutti, perché nel Lazio i big da salvaguardare sono tantissimi e inevitabilmente molti andranno collocati fuori Roma. Nelle province.

Di Zingaretti abbiamo detto. Poi ci sono: il segretario regionale Bruno Astorre, Michela Di Biase (la signora Franceschini potrebbe concorrere alla Camera), Cecilia D’Elia (fedelissima di Letta), Andrea Casu, Patrizia Prestipino, Roberto Morassut, Monica Cirinnà, Matteo Orfini. E soprattutto Claudio Mancini. Dove trovare uno spazio eleggibile per tutti? Perché poi il problema non è soltanto quello di essere candidati nel listino. Ma la posizione che si occupa: la prima garantisce l’elezione. La seconda dà ottime possibilità, dalla terza si rischia. Ci sarebbe anche Marianna Madia, che però, secondo il Corriere della Sera, è “pronta ad impegnarsi alle elezioni regionali del Lazio”. Ipotesi accreditata, specialmente nelle ultime ore. Fra i tre litiganti (Enrico Gasbarra, Daniele Leodori e Alessio D’Amato) potrebbe spuntare la quarta soluzione. Peraltro una donna, come vuole Enrico Letta. Il quadro è questo: Francesco De Angelis e Sara Battisti lo conoscono benissimo, consapevoli delle difficoltà e dei rischi.

CHI CONTA E CHI DECIDE LE CANDIDATURE

Al netto delle ricostruzioni, delle speranze, delle ambizioni e perfino di qualche spruzzata di millantato credito, chi è che davvero deciderà le candidature nei collegi uninominali e in quelli proporzionali? Un interessante articolo sul Corriere della Sera ha chiarito molti aspetti. Giovanni Donzelli, responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia, ha voluto evidenziare “il coinvolgimento attivo dei coordinatori regionali che proporranno le candidature del territorio”. Ha detto: “Cerchiamo di non deludere nessuno. Ma poi decide Meloni, che sceglie anche le personalità della società civile che vogliono metterci la faccia”. Dunque, oltre a Giorgia Meloni, un ruolo vero lo avrà il coordinatore regionale Paolo Trancassini. Nel Pd la cabina di regia è formata dal segretario Enrico Letta e dai capi delle tre correnti maggiori: Dario Franceschini, Andrea Orlando, Lorenzo Guerini. Nella Lega Matteo Salvini, assicurano, riceverà le proposte selezionate prima dai coordinatori provinciali e poi da quelli regionali. Claudio Durigon nel Lazio avrà dunque un ruolo. Mentre in Forza Italia, nel quartier generale di Villa Certosa ci saranno Silvio Berlusconi, Antonio Tajani, Paolo Barelli, Annamaria Bernini e l’onnipresente Licia Ronzulli. Perfino uno come Claudio Fazzone resterà a guardare da fuori. Nel Movimento Cinque Stelle, in attesa del rientro (forse) di Alessandro Di Battista, a selezionare le candidature saranno Giuseppe Conte, Roberto Fico, Virginia Raggi e Laura Bottici. Insieme ai cinque vicepresidenti. Beppe Grillo ha detto che il limite dei due mandati è l’unico faro nelle tenebre. Però sembra che Conte voglia prevedere alcune deroghe.

Il senatore Massimo Ruspandini

Dappertutto comunque saranno i leader a dire la prima e l’ultima parola. Questo per chiarire come le manie di grandezza che spesso emergono nei territori non sono poi suffragate dalla realtà. Conterà certamente il lavoro fatto dai parlamentari uscenti in questi quattro anni, ma è un altro discorso.

I CALCOLI DEI CENTRISTI

In un’intervista il leader di Azione Carlo Calenda ha detto chiaramente che lui punta al collegio Roma 1, dopo il risultato ragguardevole ottenuto alle comunali di Roma proprio al centro storico. Il Rosatellum, sistema elettorale con il quale si andrà alle urne, prevede una soglia di sbarramento del 3% per le liste singole e del 10% per le coalizioni. Soltanto raggiungendo queste cifre si potrà partecipare alla ripartizione dei seggi plurinominali. Azione di Calenda è l’unico dei partiti di centro che sicuramente supererà lo sbarramento. Per il resto più incognite che certezze: per Matteo Renzi, per Luigi Di Maio, per Giovanni Toti. L’ipotesi più probabile è che alla fine cerchino di stare nelle coalizioni: Toti nel centrodestra, Renzi e Di Maio nel centrosinistra. Con buona pace di chi sogna terzi poli che poi alla prova dei voti svaniscono all’alba. Come le illusioni.

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