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Giorgia Meloni e l’effetto band-wagon. Ambiente, rifiuti, sanità, sviluppo: Ciociaria sommersa dalle emergenze

Licandro Licantropo
Adesso tutti (giustamente) sono preoccupati per una congiuntura economica che volge al peggio per l’aumento incontrollato del prezzo del gas e dell’elettricità. Con tante imprese ad un passo dalla chiusura e altre che dovranno ricorrere alla cassa integrazione. Ma nessuno si interroga anche sulle tante promesse rimaste tali…
Settembre 2, 2022
Giorgia Meloni

Tra una settimana, esattamente dal 9 settembre, scatterà il divieto di pubblicazione dei sondaggi, che non potranno essere quindi divulgati. Ma c’è un elemento fondamentale che dovrà essere considerato e lo ha spiegato benissimo Il Corriere della Sera: “Ma una sorpresa ci sarà? In tutte le ultime elezioni generali la sorpresa c’è stata: il partito in testa nei sondaggi ha fatto boom, è andato molto meglio del previsto. Si chiama effetto “band wagon”: tu sei convinto che vincerà Tizio e per questo salti sul vagone di Tizio. Accadde a Renzi alle europee del 2014, a Grillo in quelle nazionali del 2018, a Salvini alle Europee del 2019. Tutti e tre superarono a sorpresa abbondantemente il 30%. Potrebbe succedere anche alla Meloni? Potrebbe”.

In effetti il vento soffia in questa direzione. Con degli effetti collaterali che però non sarebbero secondari: dalle rilevazioni più recenti, per esempio, Forza Italia lotterebbe per il quinto posto con il Terzo Polo di Renzi e Calenda. Ieri qualcuno si è chiesto ad alta voce: cosa succederebbe se per la prima volta dal 1994 gli “azzurri” fossero irrilevanti nel centrodestra? Già, cosa succederebbe? Anche la Lega nei sondaggi non sta facendo registrare percentuali travolgenti. Il Partito Democratico di Enrico Letta sicuramente recupererà diversi punti rispetto al 2018 (ci mancherebbe pure), ma resterà al secondo posto e soprattutto senza un quadro vero e credibile di alleanze. E quindi di alternativa di governo.

Matteo Salvini dice che la stagione dei tecnici è finita, ma dipenderà da lui e da Silvio Berlusconi dimostrare che è così.

IL SILENZIO DELLA RIFLESSIONE

Francesco De Angelis sta analizzando tutto quello che è successo con lucidità. Non è sorpreso del fatto che si continui a parlare di sue possibili dimissioni da presidente del Consorzio industriale regionale unico. Già prima della costituzione dell’ente, da Roma erano stati fatti innumerevoli tentativi per cercare di sbarrargli la strada o di annacquare le competenze. Con una consistente dose di fuoco amico. Se c’è uno che conosce bene di cosa sono capaci le correnti del Pd, quello è proprio De Angelis, che fra l’altro è stato il primo (in diretta) a rendersi conto di come avrebbe potuto “impattare” il video di Ruberti sull’opinione pubblica.

Non è neppure vero che De Angelis abbia evitato la “crescita” di altri esponenti all’interno del Pd: nel 2013 la sua corrente elesse Maria Spilabotte al Senato e Mauro Buschini alla Regione. Nel 2018, nonostante il tracollo del Pd alle politiche, Pensare Democratico portò in consiglio regionale Mauro Buschini e Sara Battisti. Il problema forse è stato rappresentato dalla sottovalutazione di alcuni episodi: la competizione tra Battisti e Buschini, le frizioni tra Buschini e diversi fedelissimi di De Angelis, i tentennamenti sulla scelta del candidato alla presidenza della Regione (prima Leodori, poi Gasbarra). Ma la cosa che più di ogni altra salta all’occhio è la mancanza di… alternative. Qualcuno nel Pd vuole mettere in discussione la leadership di De Angelis? Si faccia avanti. Per esempio Antonio Pompeo. In Pensare Democratico c’è bisogno di un cambio al vertice? Sara Battisti, Mauro Buschini o altri si propongano. Il punto di vista probabilmente va ribaltato: Francesco De Angelis pensava di aver gettato le basi per un ricambio della classe dirigente anche all’interno del partito. Quasi sicuramente si è sbagliato.

IL CONTO SALATO DELLE “NON SCELTE”

Adesso tutti (giustamente) sono preoccupati per una congiuntura economica che volge al peggio per l’aumento incontrollato del prezzo del gas e dell’elettricità. Con tante imprese ad un passo dalla chiusura e altre che dovranno ricorrere alla cassa integrazione. Ma nessuno si interroga anche sulle tante promesse rimaste tali. La bonifica della Valle del Sacco, più volte annunciata da Nicola Zingaretti, non c’è stata. La sospensione dei criteri dell’attuale riperimetrazione neppure. Tante aziende sono bloccate da anni e quindi si trovano a fronteggiare crisi su crisi. La stazione della Tav di Ferentino-Supino è rimasta “materia dei sogni”. La logistica e la mobilità sono fondamentali per lo sviluppo del futuro. La provincia di Frosinone è ad un passo dall’emergenza rifiuti, dopo aver avuto per anni un ciclo virtuoso. E nessuno azzarda neppure una previsione su dove e quando individuare una discarica. Al di là della gestione della pandemia da Covid 19, la sanità provinciale non ha fatto registrare passi avanti. Il Dea di secondo livello resta una chimera. Tutti ne continuano a parlare senza però dare dei segnali veri e concreti. Ambiente, infrastrutture, rifiuti, sanità: sono tutte competenze della Regione Lazio. Dopo dieci anni di governo il bilancio della presidenza di Nicola Zingaretti è molto discutibile per la provincia di Frosinone. Sia sul piano amministrativo che su quello politico, perché il quadro nel quale va letto l’ormai famoso video di Ruberti è quello di una competizione fratricida prima internamente alla componente di De Angelis e poi tra le correnti per indicare il successore di Zingaretti. E in questo contesto Pensare Democratico è stato triturato: Sara Battisti favorevole a Enrico Gasbarra, Mauro Buschini a Daniele Leodori. Quando si è dimesso da segretario nazionale, Nicola Zingaretti ha lasciato ad Enrico Letta un partito sommerso dalle macerie delle polemiche. Alla Regione Lazio, dopo due vittorie elettoralmente esaltanti, Zingaretti lascia una situazione politica traballante e lacerata. Dal 25 settembre il Presidente della Regione sarà un deputato del Partito Democratico e probabilmente aspetterà un po’ per dimettersi da Governatore. Certamente però l’eredità politica che consegnerà in dote sarà complicata da gestire e forse perfino da accettare.

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