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Franco Vona e il ciclismo: vittorie, emozioni e ricordi di un amore ricambiato

Roberto Mercaldo
Ottobre 10, 2023

Ha vinto tre tappe al Giro d’Italia e della corsa rosa è stato protagonista assoluto, come indica il sesto posto finale del 92. Sulle cime dolomitiche sapeva farsi rispettare: primo a Corvara al Giro, secondo all’Alpe d’Huez e al Sestriere in due tapponi del Tour. E ancora primo a Sulmona in una tappa con il Block House, primo sul GPM dello Stelvio, la Cima Coppi del Giro. Quando la strada si alzava sotto i pedali, il ciociaro Franco Vona, luogotenente prima di Moser e poi di Gianni Bugno, saliva con un mix di leggerezza e potenza, elegante ed efficace nella sua azione. L’amore tra Franco e il ciclismo non è finito con il suo ritiro dalle corse. Ora segue i grandi campioni senza fatica, ma con il cuore è ancora lì, in quel mondo un po’ magico delle due ruote.

Ma partiamo dall’inizio, dalle prime corse nelle categorie giovanili. Chi sognava di imitare il giovanissimo Franco Vona?

“L’idolo era Felice Gimondi, un corridore carismatico e capace di eccellere in ogni tipo di corsa. Da bambino tifavo per lui e quando ho cominciato a correre a lui mi sono ispirato”.

Poi, sulle strade, di campioni ne hai incontrati tanti, e qualche volta ti sei preso il lusso di batterli. Chi, tra i corridori che hanno in parte condiviso il tuo percorso da professionista, ti ha impressionato di più?

Miguel Indurain è stato il corridore più forte con il quale abbia corso. Aveva una grande personalità e nei grandi Giri era davvero imbattibile. Ricordo il suo spessore di ciclista e di uomo, davvero un grande personaggio.
Al mio esordio tra i professionisti ho corso in squadra con Francesco Moser e anche di lui non si può che parlar bene. Ha avuto tra l’altro il merito di portare la sua figura ed il suo indubbio carisma anche al di fuori del nostro mondo, un campione di popolarità. Devo però dirti che avevo un buonissimo rapporto anche con Giuseppe Saronni, un mio buon amico”.

IL CICLISMO DI OGGI

Trent’anni dopo non ci son più Indurain, Moser e Saronni ma Pogacar, Vingegaard, Evenepoel, Van der Poel. Che ciclismo è quello di oggi?

“Mi piace molto, perché credo abbia ritrovato la poesia. Corridori come Pogacar, che vanno forte tanto nelle gare in linea che in quelle a tappe, riportano in qualche modo al ciclismo eroico, quello pre-specializzazione. Per tanti anni c’è stata una netta distinzione tra specialisti delle corse di un giorno e uomini da grandi giri. Oggi il solo Vingegaard si limita a preparare e a vincere il Tour. Ciclisti come Evenepoel e Pogacar provano invece a vincere tutto. Pogacar mi entusiasma: comincia a vincere a febbraio e poi chiude trionfando al Lombardia, il tutto dopo essere stato protagonista nelle corse da tre settimane. Impossibile non entusiasmarsi per questo ragazzo: è un generoso e ha restituito al ciclismo quella dimensione eroica che la tecnologia esasperata e le metodologie moderne avevano un po’ annacquato”.

milano-sanremo
Lo sloveno Tadej Pogacar

La Jumbo Visma ha Kuss, Vingegaard, Roglic e Van Aert, quattro campioni nello stesso team. Non trovi sia una stranezza?

“Nella dimensione attuale del ciclismo non lo è. Sarebbe stato strano 20-30 anni fa, ma adesso i campioni tendono a cercare i super team, nell’era Pro-Tour può essere normale. La Jumbo si è resa protagonista di una stagione eccezionale, è andata davvero fortissimo per tutto l’anno. Forse il solo un po’ al di sotto delle attese è stato proprio Van Aert”.

GLI ITALIANI IN DIFFICOLTÀ

E veniamo a una domanda spinosa. L’Italia non è più la nazione di riferimento del ciclismo, ma arranca in modo evidente. Perché?

“Non è semplicissimo risponderti. Cominciamo con il considerare che il ciclismo si è espanso. Oggi ci sono danesi, sloveni, australiani e altri rappresentanti di nazioni che fino a 30 anni fa non avevano grande rilevanza nel contesto mondiale. L’allargamento della base di praticanti ha creato qualche difficoltà alle grandi tradizionali. Purtroppo siamo in palese difficoltà, specie nelle corse a tappe. La triste vicenda di Pantani, un grande campione che non è stato protetto come avrebbe meritato, ha inevitabilmente fatto crollare quel grande entusiasmo che Marco aveva saputo ricreare intorno al ciclismo con le sue imprese. Con Nibali abbiamo ritrovato un ottimo interprete dei grandi Giri, ma ora non si vede all’orizzonte chi possa battersi per la classifica finale al Giro e al Tour.
Va un po’ meglio nelle gare di un giorno. Proprio tre giorni fa Bagioli, col suo secondo posto al Lombardia, ha lanciato un segnale importante. Abbiamo inoltre Pippo Ganna che potrebbe trasformarsi in un grande protagonista nelle classiche. Su pista ha vinto tutto, su strada non può accontentarsi di vincere alcune cronometro perché ha potenzialità per lottare in gare come la Roubaix, il Fiandre e la Sanremo. Spero che nel 2024 possa prendersi qualche soddisfazione, ma ci vuole un lavoro specifico”.

I RICORDI PIÙ BELLI

Torniamo un attimo indietro. Se chiudi gli occhi e ripensi alla tua carriera, quale immagine ti viene in mente per prima?

“Sicuramente la mia vittoria nella tappa di Corvara. Ho vinto in un luogo che il compianto Adriano De Zan amava definire l’Università del ciclismo. Quel giorno feci davvero una grande impresa. Devo dirti però che ho tanti ricordi molto belli legati a quel periodo e non tutti necessariamente limitati alle gare”.

Franco Vona

Vona e lo sport: escluso il ciclismo quali discipline sportive ti piacciono o hai praticato?

“Di sport a livello amatoriale ne ho praticati parecchi: calcio, podismo, arrampicate e altri. In questo momento seguo volentieri il calcio, da tifoso giallorosso, ma soprattutto da amante del calcio ben giocato. Inoltre anche il motociclismo mi emoziona e mi appassiona abbastanza. Diciamo che dello sport mi piace un po’ tutto, e non potrebbe essere altrimenti perché uno sport è stato al centro della mia vita”.
La chiacchierata finisce qui, ma le emozioni no. Quelle rinascono ogni giorno, perché la magia del ciclismo e di quelle vette dolomitiche sembra non aver limiti di tempo e di spazio.

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