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Finanziamo il nemico continuando a comperare il suo gas

Alberto Fraja
Vogliamo sterilizzare le bocche di fuoco di Putin ma nel frattempo continuiamo a finanziargli lo stupro dell’Ucraina riempiendolo di danè
Marzo 2, 2022
guerra-ucraina-russia-gasdotto-Italia
Il Tap, il gasdotto trans-adriatico che sbuca a Melendugno (Puglia)

Paradossi della guerra. Vogliamo sterilizzare le bocche di fuoco di Putin ma nel frattempo continuiamo a finanziargli lo stupro dell’Ucraina riempiendolo di danè. Dacché i corazzati dell’autocrate dai capelli color can che fugge sono penetrati in Ucraina, il nostro Paese ha infatti triplicato gli acquisti di gas. Si prendano in considerazione i flussi di metano che partono dalla Russia, passano per l’Ucraina (la città di Uzhgorod), arrivano nel sito slovacco di Velké Kapusarny e da lì vengono smistati (anche) in Italia attraverso il Tarvisio.

In una settimana gli approvvigionamenti sono triplicati

Ebbene, nell’ultima settimana quei flussi sono moltiplicati per tre. Siamo passati dai 10 gigawatt/ora del 21 febbraio per arrivare ai 36 giga-watt di ieri. Qualcuno obietta: accumuliamo gas così da poterlo stoccare. E’ bene, in altri termini, affastellare quanto più fieno in cascina possibile in vista del peggio. I ritmi di acquisto si intensificano proprio perché nessuno ha la palla di vetro per sapere fin dove escalerà il conflitto.

Nel frattempo, il governo italiano ha deciso di aggirare l’ostacolo da una parte riattivando le centrali a carbone (cosa che non si fa dall’oggi al domani) e volgendo lo sguardo verso altri fornitori, l’Algeria e il Qatar. Ma quand’anche questi Paesi accettassero di implementare la fornitura di gas necessaria ad accendere i termosifoni in casa o a tenere in piedi l’attività produttiva del Belpaese, il fabbisogno non sarebbe soddisfatto. Facciamo i conti della serva: l’Italia succhia gas dalla Russia per 33,4 miliardi di metri cubi (il 46 per cento). Sostituire questo immensa quantità di fonte energetica, spiegano gli esperti, è pressoché impossibile perché mancano le infrastrutture, cioè il tubo a cui attaccarsi o i rigassificatori in cui immagazzinare il gas liquido.

Niente rigassificatori, niente gas

Per dire: la Spagna, di rigassificatori, ne ha sette. Noi possiamo contare su tre impianti di cui uno male in arnese. Di tutto ciò ringraziamo gli ambientalisti da bar sport o, peggio, da salotto con vista Tevere.
Qualcuno dice: sfruttiamo di più il Tap, il gasdotto trans adriatico che sbuca a Melendugno (Puglia) e che oggi eroga otto miliardi di metri cubi. Difficile farlo ora. Sempre a parere di chi di queste cose le mastica, occorrerebbe del tempo. E comunque potremmo ricavarne al massimo dieci miliardi di metri cubi. Non una goccia in più.

Chiedere aiuto alla Libia? Difficile

Altra possibile soluzione: rivolgiamoci alla Libia. Impossibile: grazie alla nostra dabbenaggine, abbiamo regalato quel Paese ai russi e ai turchi. Dice: ma allora le sanzioni? E qui casca il proverbiale asino. Stati Uniti ed Europa hanno adottato una versione selettiva delle misure afflittive verso la Russia mettendo nel mirino gli oligarchi (quelli che saziano di rubli i negozi di via Montenapoleone a Milano) e alcune banche ma lasciando libere le transazioni che si riferiscono ai pagamenti per le forniture energetiche. Ultima chicca: dacché hanno cominciato a soffiare venti di guerra il prezzo al metro cubo del gas è praticamente raddoppiato passando da 0,50 euro di fine anno a 0,91 di fine febbraio. Morale: continuiamo a staccare un succoso assegno perché lo zar continui a sparare. Paradossi della guerra.

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