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E se Giorgia ballasse da sola? L’affetto di Renzi & Calenda sulla strada della coalizione con Letta

Licandro Licantropo
Giorgia Meloni non farà passi indietro, non dopo un percorso lunghissimo compiuto alla luce del sole e misurandosi sul campo. Ha fondato un partito portandolo al 25%. Per lei, forse meglio non governare a tutti i costi che avere compagni di viaggio più interessati a sbarrarle la strada che ad aumentare voti e consensi.
Luglio 26, 2022
Giorgia Meloni

Il vero problema per il centrodestra è che se ne stia parlando ogni giorno. Quando in realtà per quasi 30 anni la regola è stata semplice e rispettata: chi prende un voto in più, governa. E’ valso per Silvio Berlusconi e sarebbe andata così per Matteo Salvini se Mattarella gli avesse affidato l’incarico all’esito delle elezioni del 2018. Oggi Berlusconi e Salvini sono gli stessi che stanno sbarrando la strada a Giorgia Meloni. Un sondaggio di Swg per TgLa7 (di ieri) dà Fratelli d’Italia al 25% (+1,2%), Lega al 12,4% (-1,6%), Forza Italia al 7,1% (-0,3%).
Perché a scegliere il candidato presidente del consiglio dovrebbero essere gli “azzurri”? Ma soprattutto perché Giorgia Meloni non può ambire a Palazzo Chigi? Domani i leader della coalizione si vedranno, ma il clima non è dei migliori. La Meloni ha messo le cose in chiaro, spiegando che senza intesa su chi dovrà guidare il Governo, non vale la pena proseguire insieme il cammino. Fra l’altro Alleanza Nazionale prima e Fratelli d’Italia dopo hanno costantemente rispettato la regola non scritta della leadership ad appannaggio di chi ha un voto in più degli alleati. Silvio Berlusconi, in un’intervista al Corriere della Sera, ripete di non essere appassionato a questo tema, che prima vengono i programmi. Da quando Berlusconi non è interessato al tema del capo del Governo? Non scherziamo.
Fra l’altro Forza Italia sta facendo i conti con emorragie continue. Dopo Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, lascia Mara Carfagna. Tutti traditori? No. Tutti stanchi della conduzione di un partito lungo l’asse filosalviniano Fascina-Ronzulli. Con Antonio Tajani nel ruolo di eterno secondo, che però aspira a guidare il Governo. Tajani ha spiegato che prima bisogna vincere e poi decidere chi alza la coppa. Ma che paragone è? In questo modo il centrodestra può veramente vanificare il vantaggio che gli viene attribuito dai sondaggi.
Giorgia Meloni sta meditando di andare per conto proprio: la possibilità è seria e ci sono pure altri segnali. Per esempio il fatto che per la presidenza della Regione Lombardia Letizia Moratti è intenzionata ad andare avanti. Evidentemente in alternativa al leghista Attilio Fontana. Clemente Mastella, democristiano mai pentito della Prima Repubblica, ha invitato la Meloni a farsene una ragione. Perché “Berlusconi e Salvini la fregheranno”. Può essere questo il contesto di un centrodestra che ha la possibilità di governare l’Italia? Certamente no. Silvio Berusconi si sta assumendo la responsabilità di mandare tutto all’aria, Matteo Salvini neppure protesta. Rimane sempre senza una risposta l’unica domanda seria: perché Giorgia Meloni non può fare il premier?

CALENDA, RENZI E ZINGARETTI

Primo incontro tra Carlo Calenda e Matteo Renzi, definito da entrambi molto affettuoso. I leader di Azione e Italia Viva potrebbero trovarsi d’accordo su una strategia comune: unire le forze con l’obiettivo di togliere consensi ad un centrodestra in evidente confusione e accreditarsi agli occhi del Pd. In questo caso le antipatie nei confronti dei Democrat verrebbero superate. Ma Calenda sta puntando più in alto: vuole Mario Draghi candidato premier. E ha invitato Enrico Letta ad un passo indietro per questo. L’ex governatore della Bce ha negato sempre di volersi cimentare in politica, ma ogni volta che in Italia si evoca lo spettro della Destra fascista al governo, succedono cose impensabili. In realtà Calenda ha l’obiettivo di unire un fronte che possa sostenere, dopo il voto, un altro governo Draghi. Indipendentemente dal risultato elettorale. Ma in Italia perché si va alle urne? In Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Inghilterra, chi vince le elezioni governa, indipendentemente dal sistema elettorale. Da noi no, ad essere centrali sono gli intrighi di Palazzo. Intanto Nicola Zingaretti ha confermato di essere a disposizione del partito. Guiderà il Pd al Senato nel Lazio e si dimetterà da Governatore dopo. A risultato acquisito. Per come si stanno mettendo le cose, a guidare la Regione in questo lungo lasso di tempo sarà il vicepresidente Daniele Leodori, che è tra i nomi in campo per la candidatura alla successione del attuale governatore. Pure per lui nelle settimane passate è valso il principio astruso che dovesse cedere il passo. A Enrico Gasbarra. Non si capisce per quale motivo, specialmente perché questo doveva accadere senza il passaggio delle primarie. Strano concetto di democrazia dalle nostre parti: Meloni non può fare il premier anche se guida il partito più votato e in questi anni ha dimostrato con i fatti che Fratelli d’Italia è capace di amministrare e governare ad ogni livello. Nel Pd le primarie sono un problema: meglio salotti e caminetti, perché non danno sorprese. Ma diversamente dal passato, stavolta in tanti non si stanno adeguando a logiche da Gattopardo. In Forza Italia Gelmini, Brunetta e Carfagna sbattono la porta in faccia a Berlusconi. Tutti e tre sono stati voluti al governo da Gianni Letta, che non è un pericoloso bolscevico. Giorgia Meloni non farà passi indietro, non dopo un percorso lunghissimo compiuto alla luce del sole e misurandosi sul campo. Ha fondato un partito portandolo al 25%. Per lei, forse meglio non governare a tutti i costi che avere compagni di viaggio più interessati a sbarrarle la strada che ad aumentare voti e consensi. Il centrodestra di Berlusconi è stato archiviato dalla storia, quello di Salvini ha vissuto una stagione breve. Toccherebbe alla Meloni, che ora può perfino ballare da sola.
Pd e Cinque Stelle si presenteranno separatamente, ma gli addetti ai lavori sono pronti a scommettere che si rimetteranno insieme nel caso di un risultato di pareggio. Per appoggiare l’ennesimo Governo tecnico. C’è una variabile però: il ritorno di Alessandro Di Battista e le strategie di Virginia Raggi. Nessuno dei due sopporta l’idea di Giuseppe Conte leader. Se il frontman della campagna elettorale dovesse essere “Dibba”, allora la rottura con i Democrat sarebbe irreversibile. Con l’avvocato del popolo e con Rocco Casalino, invece, la reunion sarebbe assicurata. Fosse anche al Grande Fratello.

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