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Dal campo largo al campo Draghi: il centrosinistra cerca disperatamente un nuovo corso

Licandro Licantropo
Il centrodestra non può permettersi il lusso di dormire sugli allori e ha l’esigenza di individuare un candidato. Finora tanti nomi ma nessun vero favorito. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia dovranno porsi il problema in tempi molto rapidi.
Luglio 22, 2022
Enrico Letta

Simboli a ferragosto, liste e candidati pochi giorno dopo, comizi in costume, accordi sotto l’ombrellone. Sarà una campagna elettorale inedita e destinata a cambiare anche molte abitudini degli italiani. Nel 2019 c’eravamo stupiti del Papeete. Nulla al confronto di quello che ci aspetta adesso. Ma siamo già in un’altra fase e perfino il cosiddetto “Governo dei migliori” di Mario Draghi è stato archiviato.

L’ARCIPELAGO DI CENTRO

Matteo Renzi, Carlo Calenda, Giovanni Toti, Renato Brunetta, Mariastella Gelmini e, forse, Mara Carfagna. C’è un affollamento al Centro che non ha precedenti, ma che non tiene conto di un sistema elettorale, il Rosatellum, che inevitabilmente spinge ad alleanze e coalizioni. Vedremo quale sarà l’evoluzione di questi movimenti. Per esempio il leader di Azione Carlo Calenda ha già detto di non essere disponibile ad ammucchiate anti-sovraniste solo per farle. Enrico Letta lascia intendere che il Pd difficilmente proseguirà l’alleanza con Italia Viva. Il rischio è che ancora una volta saremo in presenza di “centrini” sganciati dagli schieramenti principali. Il rischio è l’irrilevanza. O la marginalità.

LA REGIONE LAZIO

Il Movimento Cinque Stelle ha ritirato la fiducia a Draghi sul decreto Aiuti soprattutto per la presenza nello stesso dell’ipotesi del Termovalorizzatore di Roma. Quello che sta succedendo e succederà nel Lazio sarà importante per le elezioni politiche. Prima e dopo. Nicola Zingaretti concorrerà per la Camera o per il Senato. Il Governatore ha due possibilità. La prima è rappresentata dalle dimissioni nel momento in cui firma la candidatura: intorno a metà agosto. Da quel momento ci sarebbero novanta giorni per votare anche alla Regione Lazio. Dunque a novembre. Oppure Zingaretti si candida, viene eletto e successivamente decide di restare in Parlamento. Entro due mesi. Poi nei successivi novanta giorni deve portare il Lazio al rinnovo. Si arriva a febbraio. Questo è soltanto l’aspetto delle norme e delle procedure, perché poi c’è la questione politica. Enrico Letta, segretario nazionale del Pd, considera chiusa l’alleanza con i Cinque Stelle. Dario Franceschini, ministro della cultura e leader di AreaDem, è andato oltre, spiegando che l’inaffidabilità dei Cinque Stelle e di Giuseppe Conte rende impossibile la prosecuzione di ogni rapporto. Franceschini ha fatto capire che il Pd sta lavorando ad una specie di “Campo Draghi”, cercando di raccogliere tutte le forze che avrebbero voluto la prosecuzione di quella esperienza. Roberta Lombardi, assessore regionale alla transizione ecologica nel Lazio, ha invece fatto sapere che per i Cinque Stelle quell’esperienza può proseguire. Se poi i Democrat hanno cambiato idea, dovranno comunicarlo. Il cerino è nelle mani di Nicola Zingaretti, solitamente indecisionista in situazioni del genere. Da segretario del Pd e da Governatore del Lazio è stato tra i maggiori teorici e poi attuatori dell’asse di ferro con i pentastellati. Per un determinato periodo, insieme a Goffredo Bettini (il guru che sbaglia tutte le previsioni), vedeva in Giuseppe Conte un nuovo Romano Prodi. Adesso Zingaretti è in una posizione molto scomoda. Le candidature alle politiche le decide Letta, che sta chiedendo di prendere le distanze dal Movimento. Alle regionali del Lazio il sistema elettorale è a turno unico e Claudio Mancini, Bruno Astorre, Albino Ruberti e molti altri ritengono impossibile competere con il centrodestra senza il Campo largo. Solo che per Letta e Franceschini il Campo largo è sepolto. Vedremo cosa si inventerà Zingaretti. C’è quindi il tema della candidatura alla presidenza della Regione. Il precipitare del quadro nazionale e le elezioni il 25 settembre hanno definitivamente cancellato le primarie. Ai meno attenti il favorito potrebbe sembrare Enrico Gasbarra ma parte con un handicap quasi insuperabile: il veto assoluto di Calenda.

Il centrodestra non può permettersi il lusso di dormire sugli allori e ha l’esigenza di individuare un candidato. Finora tanti nomi ma nessun vero favorito. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia dovranno porsi il problema in tempi molto rapidi. Partendo dalla considerazione che il modello Zingaretti non c’è più.

IL RITORNO DELLA POLITICA

Si è detto (giustamente) che Mario Draghi era stato chiamato a Palazzo Chigi a causa del fallimento del sistema dei partiti. In realtà ad aver fallito era stato il Governo Conte 2. Ricordiamo tutti che il piano di vaccinazione era in alto mare e sul Pnrr si navigava a vista. Nel corso di questa stessa legislatura c’è stato anche il fallimento dell’esperienza gialloverde, perché non va dimenticato che per un certo periodo i vicepresidenti Matteo Salvini e Luigi Di Maio dettavano al presidente Luigi Conte l’agenda di Governo. Tra reddito di cittadinanza e quota 100. Questa legislatura verrà ricordata per la prevalenza del caos. L’altro giorno al Senato, però, la politica si è presa la rivincita. Lo stesso Mario Draghi, con un discorso rigidissimo, ha dato un taglio politico alla sua intenzione di non voler proseguire né con i Cinque Stelle ma neppure con la Lega e con Forza Italia. Anzi, di non voler proseguire e basta. Il fatto che non si candida dice poco, in realtà è lui il punto di riferimento al quale guarda Enrico Letta per la costruzione di una coalizione oltre il Campo largo. Matteo Salvini e Silvio Berlusconi hanno messo sul piatto il Draghi bis senza i pentastellati, per portare allo scoperto l’intenzione dei Democrat di cercare di tenere il rapporto con l’avvocato del popolo. Giorgia Meloni si è limitata ad osservare gli alleati: fino all’ultimo non si è fidata, pensava a qualche ennesima giravolta. Non è successo. Lo stesso Enrico Letta ha capito che non tutti i mali vengono per nuocere e ha colto la palla al balzo per tirare una linea sull’alleanza con Giuseppe Conte. L’unica nota stonata è rappresentata dai saltelli di festeggiamento di Rocco Casalino, portavoce di Conte. A raccontarli i più autorevoli retroscenisti politici dei giornali. Forse si vede deputato o senatore. Ma dalle parti di Beppe Grillo si è capito che l’esperienza dei Cinque Stelle al governo ha distrutto il Movimento? Conte ha governato indifferentemente con la Lega e con il Pd e adesso vuole far credere di essere il paladino di un partito tornato all’anti-sistema? Ma ci faccia il piacere. Il lockdown (dei partiti) è finito. E la politica non è per tutti.

IL MAGLIOCCHETTI CHE NON T’ASPETTI

Primi mal di pancia nella maggioranza del sindaco Mastrangeli. Non ha perso tempo Danilo Magliocchetti per marcare la propria “nuova dimensione”: quella di assessore al centro storico. Ma a molti sostenitori di Rossella Testa alcuni passaggi dell’intervista rilasciata a Il Messaggero non sono piaciuti. In particolare pare non sia stato gradito come Magliocchetti abbia trattato con sufficienza la Testa a cui, a tutti gli effetti, va il merito di aver ostinatamente cercato di lanciare la movida tra le strade della parte alta del capoluogo. D’altronde se oggi quella delega attribuita all’esponente della Lega ha un certo valore e soprattutto è in grado di dare tanta visibilità lo si deve al lavoro portato avanti dalla Testa in questi anni. L’ansia da prestazione del sempre (troppo) equilibrato Magliocchetti questa volta non ha prodotto un buon effetto tra i suoi amici del Carroccio.

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