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Calenda, il picconatore 4.0. Il nervosismo di Salvini agita la Lega. Unindustria non vuole disturbare Zingaretti

Licandro Licantropo
Circola questa battuta: dove c’è Calenda, c’è caos. Enrico Letta lo sa: proverà ad andare avanti, ma a questo punto non a tutti i costi.
Agosto 6, 2022
Matteo Salvini

Enrico Letta si è stufato. Soprattutto di Carlo Calenda: l’alleanza con Azione ha mandato in fibrillazione l’intero centrosinistra al punto che il segretario del Pd ha detto chiaramente che o si trova una soluzione in tempi brevi o andrà per conto proprio, quindi da solo. Letta ha capito di essere davanti ad una scelta cruda: da un lato provare a sventolare ancora la bandiera dell’antifascismo e quindi cercare di tenere in piedi la solita “ammucchiata”, non tanto diversa da quella dell’Unione che andava da Clemente Mastella a Fausto Bertinotti. Dall’altro lato però c’è il Pd che potrebbe ragionare sull’ipotesi di “perdere bene” e quindi di avere gruppi parlamentari più numerosi, senza essere costretto a cedere decine di seggi ad alleati che non la smettono di fare ammuina. Quanto all’atteggiamento di Calenda, lo ha sintetizzato benissimo il fumettista e vignettista Makkox: “Nella foto con Carfagna e Gelmini sembrava Galliani mentre presentava i nuovi acquisti del Monza”. Carlo Calenda si comporta, scrive e twitta come se fosse alla testa di un partito del 30%. Invece oscilla intorno al 5%. Lancia un ultimatum al secondo e sta “sparando” una serie di veti da far impallidire il Movimento Cinque Stelle della stagione del Vaffa. Alle elezioni di Roma ha ottenuto un risultato eccezionale perché è riuscito a farsi percepire come affidabile. Stavolta è tutto il contrario. Il suo spazio di “indipendenza” dagli schieramenti principali è stato occupato da Matteo Renzi. Vedremo con quali risultati, ma è stato occupato. Il Pd dovrà affrontare la battaglia della divisione dei collegi uninominali: in queste condizioni è impossibile. Ai piani alti del Nazareno in tanti hanno già messo la croce sull’alleanza con Azione di Carlo Calenda. Circola questa battuta: dove c’è Calenda, c’è caos.
Enrico Letta lo sa: proverà ad andare avanti, ma a questo punto non a tutti i costi.

L’AGITAZIONE DELLA LEGA

Nel centrodestra il clima di fiducia è crescente, non soltanto per i sondaggi ma perché nel Paese si sta percependo l’omogeneità di una coalizione nella quale convivono Fratelli d’Italia, Carroccio, Forza Italia, Udc, Coraggio Italia, Noi con l’Italia e altre forze centriste. La regola sulla quale tutti si sono detti d’accordo è che chi prende un voto in più, esprime il premier. Berlusconi sta facendo… Berlusconi: si dice sicuro di arrivare al 20%, di essere lui il garante sul piano internazionale, di rappresentare il centro di gravità permanente della coalizione. E’ normale. Meno normale è l’atteggiamento di Matteo Salvini: chiede l’indicazione dei principali ministri subito, ben sapendo che è impossibile. Va a Lampedusa per mandare il messaggio all’Europa che sarà lui il ministro dell’Interno, poi però aggiunge che potrebbe fare il premier se prendesse un voto in più della Meloni. La leader di Fratelli d’Italia non si scompone: alla Fox News dice che una delle soluzioni per contenere l’immigrazione clandestina è il blocco navale (per far capire che non serve per forza Salvini al Viminale) e che sarebbe onorata di essere la prima donna a Palazzo Chigi in Italia. Sui ministri aveva già fatto sapere che se ne parlerà a tempo debito.
In realtà il problema di Matteo Salvini è un altro: ha decine e decine di parlamentari ai quali non può garantire la ricandidatura. Il partito si sta riposizionano soprattutto al Nord e lo stiamo vedendo anche negli scenari che si prospettano dalle nostre parti, nei collegi delle province di Frosinone e di Latina.
La Lega rischia di trasformarsi nell’anello debole dell’alleanza di centrodestra: troppi scontenti, troppi malumori, troppi inseguimenti di posizioni che non ci sono più. Il risultato del Carroccio sarà importante anche in chiave di leadership interna: dal 2018 in poi la scommessa politica di Matteo Salvini è stata quella di trasformare la Lega in un partito a vocazione nazionale (Lega-Noi con salvini). Se il 25 settembre dalle urne uscirà un risultato largamente sbilanciato a favore di Lombardia, Veneto, Piemonte e Friuli Venezia Giulia, la musica potrebbe cambiare.

IL SILENZIO DI UNINDUSTRIA

E’ ormai evidente a tutti che il Sin Valle del Sacco non sarà riperimetrato. Nemmeno verrà sospeso l’attuale decreto, come aveva lasciato credere il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti all’assemblea di Unindustria lo scorso aprile. Il malumore di tantissime aziende che operano nell’area industriale di Frosinone è alle stelle. Ma da parte dell’associazione degli imprenditori del Lazio, guidata da Angelo Camilli, neppure… un comunicato stampa. Nulla. Evidentemente per non attaccare Nicola Zingaretti in piena campagna elettorale per le politiche. Tutti sanno che Unindustria ha strizzato l’occhio un giorno sì e l’altro pure al Governatore in tutti i dieci anni di amministrazione. Il che può starci e non saremo certo noi a gridare allo scandalo. Però ci chiediamo: in tutto questo periodo, nel Lazio e in provincia di Frosinone, la situazione per le aziende è migliorata? Ci sono più infrastrutture? Esistono collegamenti tali da rendere competitivi a i territori? Non ci siamo accorti che la Roma-Latina è già operativa, che tra Ferentino e Supino c’è la stazione Tav e che i collegamenti tra le province ciociara e pontina viaggiano da un minimo di quattro corsie per ognuno dei sensi di marcia? No. Nella vasta zona ricadente nel Sin della Valle del Sacco le aziende non possono investire, programmare  ampliamenti perché i tempi e i costi delle operazioni di “carotaggio” sono insostenibili. Non sono state date risposte dalla Regione sul piano della politica industriale. Questa è l’unica realtà. Ma Unindustria preferisce non disturbare.