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Province, verso l’accelerazione sulla riforma entro la fine dell’estate. A Latina si guarda al dopo Stefanelli, FI e FdI pronte

Marco Battistini
Aprile 12, 2024

Il disegno di legge delega per tornare all’elezione diretta, firmato dalla sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro (Fratelli d’Italia), è ormai quasi pronto. Dopo le elezioni europee, entro la fine dell’estate molto probabilmente, si procederà con la riforma tanto auspicata e attesa da quasi due anni. Solo la concomitanza con la campagna elettorale dell’8 e 9 giugno hanno di fatto consigliato il governo ad aspettare qualche mese prima del varo del provvedimento. 

CENTRODESTRA PRONTO

Ragionevolmente, spiegano fonti di governo ai massimi livelli, si andrà alle urne per tutte le province che fanno parte delle regioni a statuto ordinario nella primavera del prossimo anno (2025). A Latina si guarda con fiducia a questa scadenza. Soprattutto il centrodestra spinge per la riforma. In primis Claudio Fazzone. Il leader di FI peraltro non sembra aver gradito le ultime mosse di Gerardo Stefanelli, attuale presidente della Provincia. Nonostante in chiave nazionale tra Renzi e Calenda si sia consumato uno strappo definitivo, il presidente della Provincia, esponente di Italia Viva, alla fine ha scelto di farsi affiancare da un uomo proveniente da Azione, Alessandro Cozzolino, al quale è stato conferito il ruolo di capo di gabinetto. Forza Italia, il principale sponsor di Stefanelli sarebbe delusa per non dire irritata. FI insieme a FdI sono pronti al voto popolare, che sancirebbe la conferma di un duopolio incontrastato nel territorio pontino. L’attuale disegno di legge prevede che le province siano composte da tre organi governativi principali: un presidente, una giunta provinciale nominata dal presidente e composta da un massimo di otto assessori, e un consiglio provinciale di 20-30 componenti (sempre con il numero variabile a seconda della popolazione). Il presidente della provincia dovrebbe essere eletto direttamente dai cittadini tramite il sistema dei collegi plurinominali, con cui ogni partito può presentare una lista di candidati e l’assegnazione dei seggi avviene con metodo proporzionale, cioè in base ai voti ottenuti. Per essere eletto al primo turno sarà necessario raccogliere almeno il 40 per cento dei voti totali, altrimenti si andrà al ballottaggio. 

LA CONFUSIONE REGNA SOVRANA

D’altronde ormai la legge Delrio è stata accantonata da tutti gli schieramenti e considerata superata. Il sistema elettorale in vigore presenta diversi problemi. Sia il presidente che il Consiglio provinciale vengono eletti dai sindaci e dai consiglieri comunali del territorio: il primo resta in carica quattro anni, il secondo (composto da sindaci e assessori comunali) solo due. La composizione dei Consigli, però, subisce un forte ricambio a seconda della tenuta delle giunte dei diversi Comuni: se un sindaco cade, infatti, non può più continuare a far parte dell’organo. E scegliere il suo sostituto non sempre è facile, visto che non possono essere eletti i primi cittadini il cui mandato scade entro i 18 mesi. Dall’altro lato, secondo l’Unione delle province, i risparmi ottenuti sono stati miseri: si citano 52 milioni e 473 mila euro dal 2014 a oggi, l’equivalente delle indennità del personale politico. Poi ci sono 16mila dipendenti non più necessari, da cui però, sostiene l’Upi, non è derivato alcun risparmio: a parte i circa tremila pensionamenti, infatti, gli altri sono stati spostati nelle Regioni, nei centri per l’impiego e nei ministeri. Ma in questo modo sono aumentati i loro premi di produttività, che nelle province in media non superano i mille euro e nelle Regioni in media arrivano a quattromila.

Appare dunque necessario restituire alle Province un sistema di voto diretto all’altezza della loro importanza come istituzione della Repubblica, garantendo stabilità nella governance e nelle funzioni, nonché risorse e personale adeguati per assicurare ai cittadini una gestione amministrativa locale più efficiente.

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