L’attacco dei militari russi alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, in Ucraina, l’impianto più grande d’Europa e quinto al mondo, ha riproposto il tema della sicurezza degli impianti ormai in fase di smantellamento in Italia.
Nel nostro Paese infatti il no al nucleare è stato sancito di fatto da due referendum (1987 e 2011), eppure non è ancora giunto a termine il decommissioning e lo smantellamento delle centrali.
Un aspetto che non è passato inosservato. Soprattutto al governo Draghi, che ha deciso di procedere con il commissariamento della Sogin, la società di Stato incaricata del decommissioning degli impianti nucleari e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. La procedura per l’amministrazione straordinaria della società sta per essere definitivamente portata a termine dall’azionista, il ministero dell’Economia.
Sarebbe praticamente questione di giorni. Lo stesso ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani ha concordato con il Mef questa decisione, annunciandolo alla stampa nel mese di gennaio.
La Sogin nel frattempo cerca di schivare le critiche gestionali piovutegli addosso, comunicando che nel 2021 le attività della società hanno registrato costi di avanzamento dei lavori per circa 120 milioni di euro.
In particolare tra i siti più attivi ci sarebbe quello di Latina, dove è entrato in esercizio l‘impianto Leco (Latina Estrazione e Condizionamento) per estrarre e condizionare i fanghi radioattivi. Nell’edificio del reattore si sono invece conclusi i lavori di smantellamento del boiler. Mentre tra il 2023 ed il 2025 è programmato l’adeguamento strutturale e impiantistico dello stesso edificio del reattore. Proprio questa struttura sarà trasformata in deposito temporaneo dei rifiuti radioattivi.
Lo smantellamento dell’intera centrale nucleare si dovrebbe concludere per il 2027. Un’attesa che sarà lunga altri 5 anni dunque. Molto prima ci sarà il repulisti in casa Sogin. Spetterà al commissario nominato dal governo imprimere un’accelerazione alla fase finale dei lavori.