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Camila Giorgi: il talento, la frenesia e il ballo infreddolito dei perché

Roberto Mercaldo
Maggio 15, 2024
Camila Giorgi, vincitrice del torneo di Merida

Uscita di scena dalla porta di servizio. Nessuna concessione agli annunci, perché lei di annunci, proclami e dichiarazioni ad effetto ne ha sempre fatto a meno. Camila Giorgi non calcherà più i campi da tennis, o almeno non lo farà da giocatrice professionista. Gli appassionati lo hanno scoperto alla vigilia di questi Internazionali, privati di Jannik Sinner, ciuffo rosso più famoso d’Italia e del suo antagonista per destino, lo spagnolo scolpito nella roccia, Carlos Alcaraz.
Camila, il talento e la frenesia, Camila enigmatica e quasi criptica nelle interviste del dopo gara. Sorrideva di rado, la marchigiana dal braccio veloce. Sosteneva che il tennis fosse il suo lavoro e non la sua passione. “Non seguo il tennis”, arrivò ad affermare, con un coraggio leonino, perché dire di non amare il tennis in un contesto che profuma di mattone tritato e di erba, di racchette, smash e volée è quantomeno ardito. E ardito era il suo piano gara, perché non conosceva alternative al picchiare la pallina da fondo campo, con stile impeccabile e supporto atletico non trascurabile.
L’eterno dilemma legato a una guida tecnica diversa da papà Sergio, al cosa avrebbe potuto fare se in possesso di un “piano B”, sembrava interessare tutti meno che lei. Dritta per la sua strada, senza curarsi delle critiche e di chi, magnificandone le potenzialità, le consigliava la svolta tecnica. Vittorie frequenti, saranno 430 a fine carriera, e 4 titoli maggiori WTA nel carniere. Tra essi, il mille canadese del 2021, quando gli ipercritici, i soloni e i “sotuttoio” persero per un attimo la voce, investiti dal disincanto di una scommessa perduta.
Dunque Camila sapeva anche vincere. E non solo i 250, anche i 1000, quelli con Aryna la tigre di Minsk, la principessa diafana Rybakina, e ancora Jessica Pegula da Buffalo con furore, Cori Gauff la precoce, Iga Swiatek la frenetica della vittoria e tutte le regine del circuito WTA. Eh già, perché quando Camila Giorgi si svegliava poggiando il piedino giusto, quando tutti i tasselli del suo mosaico di colpi superveloci andavano al loro posto non erano tante le tenniste davvero capaci di opporglisi. I quarti di Wimbledon nel 2018, massima espressione della graziosa marchigiana nel contesto dei Major, che per le donne non sono 3 su 5, ma quanto a stress e valore delle avversarie son dispendiosi come la visione di un film cecoslovacco in bianco e nero. E il quarto turno raggiunto di frequente, non solo sull’erba londinese, ma anche al Roland Garros (2022) e all’US Open (2013).
Il giorno più bello, quello di Montreal, e la finale contro Karolina Pliskova, altro personaggio enigmatico del tennis mondiale, assurta persino alla gloria del numero uno, ma mai troppo coinvolta e mai troppo esultante: le due atarassiche in una finale dai contorni quasi surreali e la biondina italiana che vince e si fa scappare un sorriso, numerato più che raro.
Camila Giorgi disegna i suoi completini, mostra la sua bellezza maliziosa sui social e gioca alla vita con quel distacco così poco diffuso nel suo mondo: un principe Myskin prestato alla racchetta, mai capace di prendersi troppo sul serio, a dispetto di chi costruiva teoremi sugli infreddoliti perché di uno striminzito numero 26 di best rannking. Ci si intenda: i più venderebbero l’orgoglio pur di essere numero 26 al mondo, ma non se si hanno le doti di questa ragazza che sapeva “spaccare la pallina”, salvo naufragare nel mare tempestoso dei doppi falli in doppia cifra, dei gratuiti a gogò, di quel cono d’ombra più grande di sogni nascosti in gesti frenetici e in quella strana voglia di non sapere.
Volente o nolente, Camila Giorgi, avrà letto o sentito di aver battuto in carriera oltre 20 giocatrici in quel momento in top ten e ben 7 avversarie che prima o poi sarebbero approdate al numero 1 del ranking. Non è da tutti, naturalmente, ma questa era la sua caratteristica: poteva prenderle dalla numero 100, ma non partiva battuta nemmeno dalla numero 1.  Sharapova, Azarenka, Muguruza, Wozniacki, la già citata Pliskova, Aryna Sabalenka e Iga Swiatek sono state costrette a stringerle la mano da sconfitte.
Camila e quel che poteva essere e non è stato, Camila e i sorrisi numerati, Camila e quel talento che albergava in un cuore inquieto o forse così quieto da stordirlo. Le stringiamo la mano, idealmente, perché essere fuori dal coro non è mai un gesto banale. Ciao Camila, buona vita vera, lontano da volèe, terra rossa, tabelloni e tribune. Però che bello quel giorno che a Montreal tacitasti i “sotuttoio”…

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