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Alcaraz, il più giovane numero uno della storia

Roberto Mercaldo
La vittoria all’Open Usa è valsa allo spagnolo anche il primo posto nel ranking
Settembre 13, 2022
Carlos Alcaraz vince gli US Open a soli 19 anni

Quando si dice un predestinato. Carlitos Alcaraz ha un volto da adolescente scavato nella roccia. Ha muscoli ben distribuiti che gli danno forza ed energie inesauribili. Ha anche un talento stratosferico, perché senza quello non si va da nessuna parte, checché ne dicano i puristi, quelli che il tennis bello è solo beck e volèe. Le volèe peraltro le fa piuttosto bene, Carlitos da Murcia. E gli son servite, eccome, anche nella finale con Ruud, che lo ha incoronato imperatore in una terra che di re e imperatori ha fatto a meno da quando si è resa indipendente. Ha vinto, l’allievo di Mosquito Ferrero, lo spagnolo con la faccia da francese. Ha vinto ed ora è numero uno del mondo, come tutti o quasi avevano immaginato, lasciando i puntini sospensivi soltanto sulla data. Carlos ha vinto, evviva Carlos. Bravo, col suo dritto che è una sentenza, uno schiaffo secco, un uragano. Benché sia andato tre volte al quinto set, contro Cilic negli ottavi, Sinner nei quarti e Tiafoe in semi, una sola volta ha visto in faccia la sconfitta. È stato contro Jannik, che ha servito sul 40/30 in vantaggio 5/4 e 2 set a uno. Carlitos il predestinato contro l’ex sciatore, predestinato quasi quanto lui. Saranno loro i Nadal e Djokovic del futuro? Possibile, e a questo punto vien voglia di cercare anche quel Federer che all’orizzonte non c’è o almeno non sembra esserci. Cosa è accaduto in quell’attimo in cui il copione sembrava aver individuato in Sinner il vincitore della sfida di un futuro che è già adesso? Jannik ha accarezzato il sogno del tris ai danni del più giovane spagnolo e si è già visto proiettato nella prima semifinale Major della sua vita. L’altro si è ribellato e, in un attimo, son cambiati i ruoli e le certezze son volate via in quel cielo d’America che ne ha viste tante. Di colpo Carlitos riazzanna il match, di colpo Jannik è trascinato nel gorgo di una partita che non c’era più. Alcaraz, il murciano, è il più stupito di tutti quando alza quel trofeo. Ripensa a ciò che ha superato e ancora si domanda come. Sotto il cielo d’America anche Casper Ruud ripensa al match che avrebbe potuto portarlo al primo posto del ranking Atp. Lui ha la faccia del bravo ragazzo, il tipo che studia e lavora e magari fa pure volontariato. Forse sarebbe stata quella la sua vita se non avesse avuto attitudine estrema a colpire una pallina da tennis. E a mandarla dentro, sempre, quasi fosse un robot. Regolarista, se ce n’è uno. Qualcuno usa un termine meno elegante e circoscrive la sua capacità nel confine della noia. Niente di più sbagliato, Ruud è numero 2 del mondo e anche se dovesse esserlo per poco, potrà ricordare ai malaccorti detrattori che non ci si arriva per raccomandazione né per sorteggio, ma a seguito dei risultati ottenuti. Occhi azzurri e faccia da ragazzo perbene, ma lui doveva perdere, perché il murciano dal volto acerbo scrivesse la storia, così come sembra piacere al dio del tennis. Ora la Coppa Davis, per respirare spirito di squadra in uno sport che più individuale non si può. È il tennis, signori!

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