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La grinta di Carlitos, le sconfitte salutari di Jannik e il sorriso sghembo di Daniil

Roberto Mercaldo
Indian Wells ha consegnato il quinto Master 1000 al campione iberico ed ha inflitto la prima sconfitta stagionale al rosso della Val Pusteria
Marzo 18, 2024
Jannik Sinner e Carlos Alcaraz

“Sui campi della California” potrebbe essere un telefilm, un vivace documentario o un libro visionario di Joyce Carol Oates. In realtà sui campi della California, nella contea di Riverside, a Indian Wells, ogni anno in marzo si svolge il primo mille della stagione. E ogni anno dà risposte importanti. Questo Indian Wells 2024, caratterizzato dall’invasione delle api all’alba di un quarto di finale che si annunciava equilibrato e che tale non è stato, ha fatto registrare il bis di Carlitos Alcaraz, da Murcia con furore. Carlitos il talento errante, la potenza e l’estro in connubio contro le leggi di una fisica tennistica elucubrata in fretta, Carlitos dalle fibre potenti e dal sorriso stile cartoons ce l’ha fatta.
Stavolta Jannik Sinner, imbattuto in stagione dopo la cavalcata trionfale nella terra dei canguri e il bis olandese sulle rive del Nieuwe Maas, ha conosciuto d’improvviso la fatica e gli incubi del passato si sono affacciati sotto forma di gratuiti di dritto. Il tutto dopo un primo set di semi in cui sembrava avesse giocato con il bazooka. E di solito se un campione con il bazooka incontra un campione con la racchetta, il campione con la racchetta è un uomo (sportivamente) morto. C’è però che Carlitos, incassati i colpi di bazooka, ha preso a muoversi come un ballerino di flamengo, finché l’altro non ha abbassato fatalmente i ritmi di un primo set da guerre stellari. E al terzo, condizionato da un fastidio al polso e da un lieve acciacco al polpaccio destro, Jannik faccia pulita, 22 anni e saggezza da vecchio di montagna, ha ammainato bandiera. Lui dalle sconfitte trae insegnamenti importanti, le trasforma in trampolini di lancio per la grandezza futura, fermo restando che già la presente è ragguardevole e si traduce in primo posto nella Race, con corposo vantaggio sugli inseguitori.
Tra i due litiganti e futuri dominatori del tennis non ha goduto il terzo, però ci ha provato. Daniil Medvedev è riuscito a sostenere la parte del “cattivo” fino a metà primo set di una finale raggiunta senza incontrare tennisti che potessero realmente metterne in pericolo la qualificazione. Tre a zero per lui contro Alcaraz ai primi singulti dell’ultimo atto, spettatori con il fiato sospeso e un interrogativo sul cuore: vuoi vedere che lo sghembo mette nel sacco il giovane iberico, con i suoi angoli da architettura sacra e le sue impugnature impossibili? Niente paura, arrivano i nostri del film girato in terra di Spagna. E il russo soccombe al termine di un primo set comunque estremamente equilibrato, tiebreak compreso.
Vista la fatica di Sisifo del primo parziale, Medvedev che non è figlio di Eolo e non governa i venti, raccoglie la delusione in un secondo set asfittico: arranca, assiste allo show dell’altro e di tanto in tanto tira fuori la giocata per dire ci sono, a Carlitos, al pubblico che vuole la partita, al deserto che strizza l’occhio a Tuscon e Palm Springs, le sedi che furono.
Il mille si è chiuso, ma ora Alcaraz vuole il Sounshine Double, Sinner la rivincita, Medvedev il suo sorriso beffardo. A Nole è bastato prenderle da Luca Nardi, per lui niente Miami, ma allenamenti in vista della stagione sul rosso. La nuova generazione affila le armi: Mensik, Fonseca, Fills, Van Asshe, Shelton vogliono scoprire se è possibile guardare più in là del deserto. E le api? Chissà dove son finite, le api..

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