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Reno de Medici, un codice complica la vita ad azienda, lavoratori e territorio

Tarcisio Di Pontecorvo
Anche l’Aia che la Regione Lazio sta per concedere alla cartiera di Villa Santa Lucia conterrà un’autorizzazione al trattamento dei fanghi primari come rifiuti. L’azienda ritiene che, invece, quel materiale faccia parte delle fasi di lavorazione venendo riciclato senza alcuna operazione di accumulo o stoccaggio. Su questo balletto burocratico che non incide sulla situazione ambientale, sono in bilico 300 posti di lavoro e la chiusura di uno stabilimento che per 60 anni ha prodotto ricchezza per centinaia di famiglie e per il territorio.
Gennaio 24, 2024

Perché la perizia della Procura della Repubblica classifica come “rifiuti” i fanghi primari che non escono mai dal processo di lavorazione e che costituiscono parte integrante del ciclo produttivo, venendo reimmessi nell’impastatrice della cellulosa senza alcuna fase di accumulo o stoccaggio? Perché la Regione Lazio ha richiesto supporto tecnico ad Arpa Lazio che già aveva espresso parere sul fatto che il materiale in questione vada destinato “direttamente alla linea di trattamento fanghi” e quindi classificato come rifiuto, cosa che prevedibilmente verrà contenuta anche nell’autorizzazione ambientale in via di rilascio?
Due domande a cui gli addetti ai lavori non sanno dare una risposta tecnica e che rischia di far diventare la “Reno de Medici” un caso nazionale nella creazione di un’ulteriore difficoltà non solo ad un’azienda ma all’intero comparto cartario, alimentando la tesi della presunta ostilità dei territori verso le residue imprese manifatturiere del Paese. Senza contare – si fa per dire – i 300 posti di lavoro che oggi sono in bilico e che da un’Aia sfavorevole all’azienda – che dovrebbe sborsare due milioni di euro in più l’anno, gettando materiale riciclabile e movimentando qualcosa come mille tir per il trasporto dei fanghi primari – potrebbero ricevere la spallata finale verso il baratro. A meno di soluzioni normative oggi inattese, deroghe e quant’altro.

Oltretutto ci sono due elementi da tenere in considerazione. Il primo riguarda il fatto che l’emergenza ambientale sia stata ormai superata e che non ci sia alcun allarme su questo fronte. Infatti lo scarico dei reflui della Reno de Medici nel collettore consortile è rientrato nei limiti della tabella di legge grazie a 4 milioni di investimenti dell’azienda sul pretrattamento e grazie anche all’avvenuto adeguamento del depuratore ex Cosilam che lavora al 90% solo con lo stabilimento di Villa Santa Lucia e ne trae anche le risorse per il funzionamento ed il pagamento degli addetti.
La seconda questione riguarda essenzialmente la filosofia green. Si ama ripetere in ogni consesso e da parte di tutti i soggetti interessati che “il recupero di prodotti e componenti insieme al riciclo e riuso dei materiali sono pratiche che contribuiscono a promuovere lo sviluppo sostenibile, perché riducono il bisogno di usare preziose risorse naturali e materie prime”. Bene. Il caso dell’immissione del ciclo produttivo della cartiera dei fanghi primari non è forse un esempio lampante di cosa significhi il riciclo ed il riuso di materiali? Perché mai due autorità, quella giudiziaria e quella regionale,dovrebbero affermare una cosa che contraddice la pratica ed anche la “filosofia” sottesa? Perché la cartiera dovrebbe avere un’autorizzazione specifica per poter fare riciclaggio di quei materiali?

Questo il mistero buffo che sta prolungando il fermo della fabbrica, il cui gruppo proprietario, lo ricordiamo, ha avviato le procedure di chiusura del sito produttivo e licenziamento collettivo dei 163 lavoratori diretti (oltre a quello a cascata di altri 140 circa nell’indotto).
Enzo Valente, segretario Ugl, ha avvertito: «L’azienda non scherza con l’avvio delle procedure di chiusura, siamo di fronte al pericolo concreto che una multinazionale da 60 anni presente sul nostro territorio sia costretta ad andar via e noi questo non possiamo assolutamente consentirlo».
«Chiediamo risposte chiare alle istituzioni – ha alzato il tono Legnante -: se non avremo novità entro i prossimi giorni porteremo i lavoratori a Roma. Non possiamo permetterci di perdere un’azienda sana, un’eccellenza, come la Reno de Medici che investe ed assicura il futuro ai lavoratori. Dobbiamo fare di tutto per farla ripartire anche perché quest’azienda è ferma da agosto, ha perso le commesse e deve ricostituire la rete commerciale. Insomma non possiamo più perdere tempo: è ora di fare i fatti».
Il punto nodale resta l’inserimento nell’Aia che la Regione sta per rilasciare dell’autorizzazione alla gestione rifiuti per il riutilizzo dei fanghi, mentre l’azienda ritiene che l’Aia già preveda il riutilizzo dei fanghi primari nell’ambito del ciclo produttivo dello stabilimento, senza necessità di atto autorizzativo alla gestione di fanghi ritenuti “rifiuti” (con quel che ne consegue).
Di sicuro dal confronto, seguito al corteo di protesta delle maestranze di lunedì scorso, con gli esponenti regionali presenti, dall’assessore all’Ambiente Palazzo a quello all’Urbanistica Ciacciarelli, per proseguire con il consigliere di maggioranza Maura e coi consiglieri di opposizione Battisti e Novelli, è emerso che una soluzione potrebbe venire non da via Cristoforo Colombo, sede del governatore Rocca, ma dal governo centrale.
Ecco perché nei prossimi giorni potrebbe essere programmato un vertice al ministero dello sviluppo, appuntamento al quale guardano con apprensione sia i lavoratori che la stessa azienda.

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