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Elezioni comunali, quattro motivi per cui la forzatura su Marzi è stata una sconfitta. Del Pd.

Licandro Licantropo
La decisione di Marzi di accettare il pressing dei vertici del Pd non può nascondere quella che, a leggerla bene, è una grande debacle del partito
Marzo 2, 2022
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Palazzo Munari, nuova sede del Comune di Frosinone

La decisione di Marzi di accettare il pressing di Nicola Zingaretti, Bruno Astorre e Francesco De Angelis sciogliendo la riserva di candidarsi a sindaco di Frosinone, con l’ufficialità che arriverà domani (giovedì 3 marzo) alle 18 nella riunione dei democratici all’Hotel Memmina, non può nascondere quella che, a leggerla bene, è una grande sconfitta del Partito Democratico. Che ha scoperto di non avere una classe dirigente capace di offrire un ventaglio di soluzioni credibili per tentare di riconquistare, dopo dieci anni, la guida della città capoluogo. Ecco i quattro motivi per i quali il Pd, al di là di quello che sarà il risultato finale della competizione elettorale, ha perso i “preliminari” della grande corsa a Palazzo Munari.

Il primo motivo: il Pd (di Frosinone) non è un partito per giovani

Ridursi a candidare un “giovane” come Marzi alla soglia dei 70 anni (li compirà tra due anni) quando il sindaco di Londra è nato nel 1970 e quello di Madrid nel 1975 significa che nella città capoluogo i democratici non hanno puntato su una classe dirigente giovane, presentabile, competente e preparata. Questo farà molto male anche alla “struttura” della campagna elettorale di Marzi, all’organizzazione e all’incisività delle iniziative che Memmo dovrà organizzare nei prossimi mesi. Il partito è vecchio, decisamente più appesantito del brillante Marzi. E fare parallelismi con Mattarella non serve a nulla. Un conto è il Quirinale con tutta la pletora di funzionari, impiegati e addetti di ogni tipo. Un conto è il Comune dove il Sindaco, spesso e volentieri, affronta in prima persona, e con uno staff ridotto all’osso, l’ordinaria amministrazione.

Il secondo motivo: il Pd (di Frosinone) non è un partito per donne.

Contro il centrodestra il Pd avrebbe dovuto schierare una candidatura di rottura. Con il nuovo sistema elettorale, dal 1995, a Frosinone non è stata mai eletta sindaco una donna. Poteva essere la volta buona. Il bello è che una donna non è mai stata effettivamente in corsa. Mai a capo di uno degli schieramenti in grado di giocarsi la vittoria finale. Zero giovani, zero donne ma soprattutto zero strategia. I soliti veti incrociati hanno sbarrato il campo anche all’unica donna forse in grado (per via della sua trasversalità) di riaprire i giochi. Ci riferiamo ad Alessandra Sardellitti che, ora alla corte di Calenda, poteva davvero contribuire a rafforzare il dialogo in chiave regionale, con una forza in crescita ed elettoralmente interessante come Azione.

Il terzo motivo: il Pd (di Frosinone) è un partito con i paraocchi.  (E con la puzza sotto al naso)

La chiusura netta a Mauro Vicano per una vicenda dalla quale, con tutta probabilità, l’ex presidente della Saf uscirà senza nemmeno il graffio di un rinvio a giudizio, significa che il Pd ha del tutto perso quella necessaria sensibilità che serve per analizzare nello specifico le questioni che di volta in volta investono la vita di un partito. Non aver tenuto conto, poi, in alcun modo, del grande lavoro di aggregazione durato quasi un anno, significa aver già inquinato qualche pozzo nel rapporto con uno degli “stakeholder” più importanti della corsa, uniti o no, a Palazzo Munari di tutto il centrosinistra. Alla fine uno come Marzi andava presentato come prima scelta e non come ripiego dopo una serie di “rifiuti” pesanti come quelli incassati da Michele Marini, Angelo Pizzutelli, Norberto Venturi e Fabrizio Cristofari.

Il quarto motivo: nell’era Marzi fu decisiva la trasversalità. Più della larghezza del campo.

Marzi si affermò nel 1998 grazie ai famosi accordi di Valmontone con una parte del centrodestra che decise di non sostenere Perlini nel turno di ballottaggio. E nel 2002 grazie alla Lista Marzi nella quale Memmo schierò Fabio Tagliaferri, Alessandra Mandarelli, Biagio Cacciola e il compianto Nicola Beltempo. Altro che campo largo. Una trasversalità che premiò Marzi soprattutto quando al ballottaggio, grazie al voto disgiunto del primo turno, riuscì ad affermarsi su Nicola Ottaviani, nell’occasione decisamente più debole delle liste che lo supportavano.

L’operazione Vicano era stata costruita su questi presupposti. Quella di Marzi parte dalla necessità di esplorare le potenzialità del campo largo. Ma sulla forza di grillini e cespuglietti nervosi di sinistra in pochi sono pronti a puntare qualche euro. 

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