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Paradossi ”democratici”: Salera si nasconde e fa concorrere… gli altri. De Angelis, al ”dentro o fuori”

Licandro Licantropo
I pentastellati cercheranno di mantenere una rappresentanza parlamentare minima, mentre Giuseppe Conte ha già centrato il suo unico e vero obiettivo: sarà eletto deputato.
Agosto 15, 2022
Francesco De Angelis

Domani le “parlamentarie” del Movimento Cinque Stelle per scegliere i candidati. Ilaria Fontana, deputata uscente, concorrerà per il collegio plurinominale della Camera del Lazio 2, mentre il consigliere regionale Loreto Marcelli per il Senato. Lontanissimo il clima del 2018. I pentastellati cercheranno di mantenere una rappresentanza parlamentare minima, mentre Giuseppe Conte ha già centrato il suo unico e vero obiettivo: sarà eletto deputato.

L’ALTRO MELONI, QUELLO DEL PD

Si chiama Marco Meloni, è il fedelissimo del segretario Enrico Letta e nel Pd è quello che ha il potere di vita e di morte sulle liste e sulle candidature. Una specie di Roberto Calderoli 4.0. Oggi a ora di pranzo sarà lui a “scremare” le prime bozze, arrivando ad una definizione di massima  (destinata ad essere presa terribilmente sul serio però) dei capilista nei collegi proporzionali, quelli maggiormente ambiti dai pezzi da novanta. Negli elenchi figura pure Francesco De Angelis, numero uno del Partito Democratico in Ciociaria.
Riuscirà ad essere collocato al primo posto del proporzionale delle province di Frosinone e Latina? Dipenderà dagli incastri (e come ti sbagli) nel Lazio. Andranno garantiti Nicola Zingaretti, Michela Di Biase, Monica Cirinnà, Bruno Astorre, Enrico Gasbarra, Matteo Orfini, Marianna Madia e tantissimi altri. Fra i quali Claudio Mancini, che è quello che già quattro anni fa “bruciò” Francesco De Angelis. Senza prenderla troppo alla lontana: se Mancini potrà essere collocato altrove, allora De Angelis avrà il primo posto (eleggibile), altrimenti scivolerà al terzo (non eleggibile). Tutto qui.

ANCORA UNA VOLTA SALERA NON PRENDE L’INIZIATIVA

Da oltre un anno il sindaco di Cassino Enzo Salera fa dire agli altri che il sud della provincia reclama autonomia, indipendenza e spazi eleggibili per i propri rappresentanti all’interno del Partito Democratico. Sempre gli altri (mai lui) rivendicano candidature ovunque: Provincia, regionali, Camera e Senato. Lui invece parla di Modello Cassino ed è attentissimo a far trasparire il malumore nei confronti di Barbara Di Rollo, Sarah Grieco e tutti quegli esponenti del Pd che semplicemente non gli riconoscono la leadership. Nemmeno a Cassino evidentemente. Succede che nel sud della provincia si apre uno spazio per rivendicare una candidatura nel collegio uninominale di Cassino-Terracina-Fondi-Gaeta. Per una battaglia politica di rappresentanza, ma non si sa mai. Enzo Salera si accomoda dietro le quinte (come al solito) e lascia che altri facciano circolare il nome del primo cittadino di Sant’Ambrogio sul Garigliano Sergio Messore. Contemporaneamente dal cassinate parte la rivolta contro le scelte della federazione provinciale del Pd, che ha indicato Francesco De Angelis per il proporzionale.
Una domanda a metà tra l’impertinente e il banale, sorge naturalmente. Perché, se proprio intende portare avanti una rivendicazione territoriale per il cassinate e all’interno dei meccanismi che definiscono le scelte del Pd, Enzo Salera non ha proposto la sua candidatura nel collegio della Camera? Avrebbe anche potuto puntare sulla contrapposizione con l’ex sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani (Lega), che sarà presente proprio lì. Tutti i leader nazionali si candidano anche nei collegi uninominali maggioritari, perfino quando sanno che perderanno. Lo ha fatto un certo Massimo D’Alema. Serve a far passare il messaggio che l’obiettivo e la rivendicazione sono talmente importanti che vale la pena perfino rischiare una figuraccia. Negli ultimi giorni Enzo Salera è protagonista dell’ennesimo momento di contrapposizione con la presidente del consiglio comunale di Cassino Barbara Di Rollo. Un classico. Ma Salera si sente o no un esponente del Pd? Quando è stato eletto aveva la sponda politica del presidente della Provincia Antonio Pompeo, poi era sembrato avvicinarsi a Francesco De Angelis, specialmente in occasione delle provinciali. La volontà di rappresentare il cassinate ha delle motivazioni valide e vere, ma vanno interpretate al massimo livello. Può farlo soltanto il sindaco di Cassino, che non può limitarsi ad agire politicamente restando sempre dieci passi indietro. Le partite politiche si giocano da protagonisti, non attraverso terzi. Un’occasione persa, l’ennesima, per il sindaco di Cassino.

LEODORI E D’AMATO

Daniele Leodori, vicepresidente della Regione Lazio, non è mai stato interessato ad una candidatura blindata alla Camera o al Senato. Alessio D’Amato, assessore regionale alla sanità, ha declinato parecchie proposte e adesso non ci sono gli spazi. Fondamentalmente però entrambi preferiscono giocarsi la carta della candidatura alla presidenza della Regione Lazio del dopo Nicola Zingaretti. Mentre invece Enrico Gasbarra sarà blindatissimo al Senato. Tutto questo naturalmente non è assolutamente indicativo di quelle che saranno le scelte per la Regione. Però Leodori e D’Amato sono comunque arrivati ad un bivio importante delle rispettive carriere politiche: nel Lazio hanno dato tutto raggiungendo indubbiamente risultati importanti. Se alla fine per concorrere per il dopo Zingaretti dovessero essere scelte, facciamo degli esempi, Marianna Madia piuttosto che Beatrice Lorenzin, Marta Leonori piuttosto che Michela Di Biase, allora sia Leodori che D’Amato dovrebbero avviare una profonda riflessione sulle gerarchie all’interno del partito. Il punto politico è esattamente questo. Nel senso che dopo dieci anni da Governatore del Lazio e dopo un periodo comunque importante al vertice del Nazareno, Nicola Zingaretti non ha lasciato alcun tipo di impostazione per il “dopo”.
Di fatto rimettendo la scelta a quelle “correnti” che aveva scomunicato solennemente nel momento dell’addio alla segreteria politica del partito. Infatti decideranno Bruno Astorre e Dario Franceschini da una parte, Goffredo Bettini, Roberto Gualtieri e Albino Ruberti dall’altra. C’è una sola variabile, che cioè Enrico Letta possa essere messo in discussione come segretario nazionale del Pd. A quel punto il “reset” sarebbe completo.