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Lo Stato non paga i fornitori: ‘buffi’ commerciali per 56 miliardi di euro

Redazione
Non solo il caro-bollette, Pmi in crisi per i mancati versamenti della pubblica amministrazione.
Ottobre 5, 2022

Altro che caro-bollette. A complicare la vita (e i bilanci!) delle piccole e medie imprese italiane ci si mette anche lo Stato, che non salda le fatture per beni e servizi acquisiti.

Secondo le ultime stime effettuate da Eurostat, i ‘buffi’ dell’Italia verso i fornitori – in maggioranza Pmi – hanno raggiunto i 55,6 miliardi di euro!

La pubblica amministrazione (Stato centrale e sue articolazioni periferiche) continua a non saldare i conti e, quando lo fa, ciò avviene con grave ritardo rispetto ai tempi previsti dalla legge, come denuncia l’associazione di categoria delle piccole e medie imprese Cgia.

Le commesse nazionali della pubblica amministrazione (PA) ai privati ammontano complessivamente a circa 150 miliardi di euro all’anno e il numero delle imprese fornitrici si aggira attorno a un milione.

A seguito della direttiva europea (UE/2011/7) contro i ritardi di pagamento della PA – direttiva recepita dall’Italia nel 2013 -, i tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra enti pubblici italiani e aziende private non possono superare di norma i 30 giorni (60 per alcune tipologie di forniture, in particolare quelle sanitarie). Ma in molti casi , le cose nel Belpaese vanno molto, ma molto, diversamente. La maglia nera per i pagamenti va al Comune di Napoli, che salta le fatture, mediamente, con quasi 230 giorni di ritardo (sette mesi e mezzo!).

“Tra i ministeri – spiegano dalla Cgia -, quello meno reattivo a saldare le fatture ricevute è stato l’Interno con un ITP (Indicatore di Tempestività dei Pagamenti) pari a +67,09; ciò vuol dire che il Viminale liquida i propri fornitori con oltre 2 mesi di ritardo rispetto alla scadenza prevista dal contratto. Seguono le Politiche agricole con +42,28 e la Difesa con +32,75. Tra le amministrazioni regionali, invece, i maggiori ritardi nel saldare i pagamenti si sono registrati in Abruzzo con 62 giorni oltre la scadenza contrattuale, in Basilicata con 39,57 e in Campania con un ritardo medio di 9,74 giorni. Tra i comuni, invece, la situazione più critica si è verificata a Napoli. Sempre l’anno scorso, l’amministrazione comunale del capoluogo regionale campano i giorni di ritardo nei pagamenti sono stati 228,15, a Lecce 63,18 e a Salerno 61,57. Tra le Asl, infine, quella di Napoli 1 Centro ha pagato con un ritardo di 43,77 giorni, l’Usl Toscana Nord Ovest con 22,34 e la Napoli 2 Nord con 16,92”.

Una possibile soluzione al problema potrebbe essere quella di prevedere la possibilità, per le aziende fornitrici di poter compensare i debiti fiscali con i crediti commerciali vantati. Ed è proprio questa la proposta che la Cgia si sente di avanzare al nuovo Governo nazionale: “Va prevista per legge – dicono dalla Cgia – la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della pubblica amministrazione e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario. Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema che ci trasciniamo appresso da decenni. Senza liquidità a disposizione, infatti, tanti artigiani e altrettanti piccoli imprenditori si trovano in grave difficoltà e in un momento così delicato per l’economia del Paese è inaccettabile che i debiti della PA nei confronti degli imprenditori siano in costante crescita dal 2017”.

Nel 2020, l’Italia è stata già condannata dalla Corte di Giustizia dell’UE per la violazione della normativa sulla tempestività dei pagamenti e nel 2021 la Commissione europea ha inviato al Governo Draghi una lettera di messa in mora sul mancato rispetto delle disposizioni previste dalla stessa direttiva europea. Infine, un’altra procedura ancora aperta contro il nostro Paese riguarda il codice dei contratti pubblici che prevede un termine di pagamento di 45 giorni, quando a livello comunitario la scadenza, invece, è di 30 giorni.

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