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L’Italia di Pablito sul tetto del mondo

Roberto Mercaldo
L’11 luglio di 40 anni fa i ragazzi di Bearzot completavano la loro incredibile marcia trionfale
Luglio 11, 2022
Italia Germania 1982

Prima del terzo match eliminatorio, contro il Camerun, i quotidiani sportivi nazionali avevano “lapidato” Enzo Bearzot e i suoi ragazzi. “Se abbiamo paura del Camerun, lo dobbiamo alle scelte scellerate del selezionatore, che ha dato fiducia ai suoi pretoriani, lasciando a casa giocatori di ben altro spessore”. Questo il tenore delle critiche che la stampa sportiva rivolgeva agli azzurri, reduci da due pareggi con Polonia e Perù. Il pari col Camerun valse il passaggio del turno, ma le polemiche non si placarono, anzi raggiunsero l’apice. In quel 1982 le contrapposizioni ideologiche originavano scontri feroci. Erano gli anni di piombo e l’Italia aveva certamente problemi più grandi di una nazionale poco performante nel girone eliminatorio di quel mondiale spagnolo. Però, per quella straordinaria capacità di attrarre che il calcio attinge non si sa dove e nemmeno perché, sembrava che la felicità potesse discendere solo da un’eventuale resurrezione di quei ragazzi in maglia azzurra. Molti ironizzavano amaramente sui gol che ci avrebbero segnato le due sudamericane, perché l’Argentina campione in carica e il Brasile più forte di sempre componevano il gironcino a tre che selezionava una delle 4 semifinaliste. E invece, niente pallottoliere, perché con una prestazione convincente gli azzurri superarono l’Argentina di Diego Armando Maradona. Il giocatore più forte del mondo fu tenuto a bada da Claudio Gentile, con le buone e con le cattive, mentre Tardelli e Cabrini davano sostanza alla grande prestazione. L’inutile gol di Passarella non cambiò le sorti del confronto, ma la vittoria con il minimo scarto risultò meno rotonda di quella che successivamente ottenne il Brasile e così, contro la squadra delle stelle, l’Italia giocò con un solo risultato utile su tre. Tutti sanno come andò: Davide sconfisse Golia, la fionda la tirò fuori il numero 20, Paolo Rossi da Prato, tre gol segnati all’incerto Valdir Peres de Arruda. Il Brasile di Cerezo, Falcao e Zico pagò anche una certa presunzione, perché per due volte ci raggiunse e per due volte andò a cercare il successo, non contentandosi di un prezioso pari. Dalle sfide con le sudamericane quell’Italia silenziosa e concentrata sull’obiettivo finale trasse il convincimento che nessuno avrebbe potuto batterla. Contro la Polonia giocò consapevole della propria superiorità, ma per nulla infastidita dai favori del pronostico. E arrivò l’11 luglio, giorno della sfida con i tedeschi, vittoriosi in semifinale su una grande Francia. Dopo il rigore fallito da Cabrini la fede vacillò, ma quegli uomini avevano deciso di prendersi la storia, la gloria, il mondo. Il guizzo di Pablito, al sesto centro, l’urlo al cielo di Marco Tardelli e il tris di Altobelli, con Pertini che dalla tribuna afferma soddisfatto “Ora non ci riprendono più”, li abbiamo rivisti una, dieci, cento volte. E ogni volta ci siamo riappropriati di quell’orgoglio smisurato, di quella gioia incontaminata che solo il calcio sa regalare. Ogni volta torniamo, per dirla con Nando Martellini “Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo…”

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