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Latina, anniversario tra le incognite. Un piano per sventare il declino: nuovi servizi e rilancio turistico

Marco Battistini
Dicembre 18, 2023

Latina compie 91 anni e si avvicina al primo secolo dalla sua fondazione. In principio fu chiamata con il nome di Littoria, in quanto richiamava il fascio littorio, simbolo del regime fascista e molto prima di potere nell’antica Roma. Il nome di Latina invece deriva dal popolo dei Latini che abitò la pianura pontina, dove fondarono la città di Satricum.
LE ORIGINI
La città venne inaugurata, il 18 dicembre 1932, Mussolini presenziò personalmente la cerimonia, parlando dal balcone del comune appena costruito e annunciando che sarebbero state costruite altre città nell’Agro romano e pontino: Pomezia, Sabaudia, Aprilia e Pontinia.
Oggi la pianura pontina è una vasta area a sudovest di Roma molto urbanizzata, ma un tempo era invasa dalle paludi e disabitata per via dell’acqua stagnante e della massiccia presenza di zanzare portatrici di malaria.
L’obiettivo di Mussolini era di bonificare 8 milioni di ettari di terreni paludosi, circa un terzo di quelli presenti nel paese, ma a metà degli anni Trenta il governo si disse soddisfatto di aver raggiunto la metà dell’obiettivo iniziale.
Circa 77mila di questi ettari bonificati facevano parte proprio dell’Agro pontino. Lì il regime fascista portò a compimento un processo che era stato avviato già in epoca medievale e portato avanti, con ritmi e successi alterni, dai papi dei secoli successivi. Si interessò all’area anche Leonardo Da Vinci: esiste un suo manoscritto con una mappa dell’Agro pontino e un disegno delle due opere idrauliche che si sarebbero dovute fare per la bonifica di una parte della zona. Fino al 1870, secondo il Consorzio di bonifica dell’Agro pontino, erano stati bonificati già circa diecimila ettari di palude, e altri settemila si allagavano solo in inverno.
Le depressioni del terreno maggiori, che avevano creato una gran quantità di acquitrini stagnanti, erano proprio nella zona dove oggi sorgono Latina, Sabaudia e Aprilia. Queste specie di piscine putride potevano essere profonde anche fino a 10 metri, cosa che rendeva l’opera di bonifica particolarmente complessa: come si legge sul sito del comune di Latina, “furono utilizzate 18 grandi idrovore, costruiti o riattivati 16.165 chilometri di canali, aperti 1.360 chilometri di strade, edificate 3.040 case coloniche e perforati 4.500 pozzi freatici o artesiani”.
LO SVILUPPO DISARTICOLATO
Le città nuove costruite nella pianura bonificata rientrano nella definizione di “città di fondazione”, cioè insediamenti urbani nati non spontaneamente ma per volontà politica, e hanno caratteristiche molto simili. Nel caso di Latina il progetto architettonico fu realizzato secondo i dettami del razionalismo in voga all’epoca e venne affidato a Oriolo Frezzotti, già autore di diversi progetti a Roma. Ma anche le altre città seguono lo stesso stile e la stessa struttura, caratterizzata dalla presenza delle torri dei tre edifici più importanti: il comune, la chiesa e quella che un tempo era la Casa del fascio, ossia la sede locale del Partito nazionale fascista. Fra il gennaio e il maggio del 1944, la città fu gravemente danneggiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e il territorio circostante fu coinvolto prima nello Sbarco di Anzio e poi nella Battaglia di Cisterna, eventi importanti che portarono alla liberazione di Roma da parte degli alleati.
Nel 1946, mutò il suo nome in Latina segnando esplicitamente così un distacco con la dittatura. Il nuovo toponimo fu deciso assumendo quello antico del territorio che la circonda ossia il Latium Novum. Dopo la guerra, passò da poche migliaia di abitanti a decine di migliaia (oggi ne ha poco meno di 130mila). Il suo legame storico con il regime fascista in qualche forma persiste, secondo molti, e i primi sindaci eletti direttamente in città provenivano in effetti dal Movimento Sociale Italiano.
Inserita, insieme alla provincia, nelle aree tutelate dalla Cassa del Mezzogiorno, conobbe negli anni sessanta e negli anni settanta una straordinaria crescita economica e demografica trasformandosi nel giro di pochi anni da centro rurale in una città industriale. Negli anni Cinquanta a Borgo Sabotino fu costruita una centrale nucleare all’avanguardia fortemente voluta da Enrico Mattei, che fu chiusa dopo i referendum del 1987 e oggi è in via di smantellamento.
La crisi industriale di pari passo con quella politica ha prodotto dalla fine degli anni ’90 in poi un lento declino di un centro diventato la ‘terra promessa’ per chi veniva dal sud. L’immobilismo sul piano infrastrutturale sancito dallo stop ad opere tanto attese (Roma-Latina, Bretella, metro leggera) abbinato all’impoverimento del tessuto produttivo (chiusure aziendali post Cassa del Mezzogiorno) ha finito per creare un grande vuoto sulle prospettive di sviluppo del capoluogo pontino.
La crescita si è fermata anche sotto il profilo demografico. Sul piano urbanistico quattro i momenti diversi della vita e lo sviluppo di Latina: dal nucleo di fondazione con il primo quartiere della città, le Case popolari, oggi “Nicolosi”, alla cintura dei borghi con i caratteristici poderi dove viveva la grande massa dei coloni che diedero vita alla città, in mezzo il quartiere Piccarello, periferia nata disordinatamente negli anni ’50-’60, con la chiesa di San Francesco punto di riferimento in un territorio privo di altre sedi sociali e istituzionali. Quindi i nuovi quartieri ‘dormitorio’ sorti negli anni ’80 ed oggi diventati parte integrante della città. Una città di fondazione particolare, molto più simile a Spinaceto che all’Eur. E che ora riflette in maniera preoccupata sul suo destino.
IL FUTURO NEL TURISMO
Nonostante vi sia una forte concentrazione di realtà importanti nell’ambito chimico-farmaceutico il futuro della città appare inevitabilmente proiettato verso la Marina. Il turismo sostenibile può valorizzare un territorio che offre storia, archeologia, mare, montagna, enogastronomia, natura. Basti pensare al Parco Nazionale del Circeo, Fogliano con il suo borgo e gli altri laghi costieri, ai siti archeologici di Satricum e di Villa Domiziano, Torre Astura, il Foro Appio, il Giardino di Ninfa, i Monti Lepini. Per far fruttare questo patrimonio serve una visione di sistema.  
Appare doveroso cogliere l’occasione storica del Pnrr per favorire un autentico sviluppo del turismo. Sono disponibili risorse per potenziare il settore turistico alle voci sostenibilità, ricettività e green. Dobbiamo creare le condizioni per intercettare questi fondi cercando finalmente di esportare il modello turistico del Lazio, che possiede un mix di bellezze uniche.
La parola chiave, ancora una volta, è ‘fare sistema’. L’obiettivo che la classe dirigente di Latina dovrebbe porsi è quello di valorizzare le eccellenze. Il territorio è speciale. Ma va messo a sistema intorno a un’idea di turismo sostenibile. Roma è regina di arrivi, ma spesso i turisti non tornano. In sinergia con Roma Capitale e la Regione Lazio si potrebbe attivare un meccanismo che li riporti nella città eterna per poi far conoscere loro i territori intorno all’Urbe.
Per vincere la scommessa deve esserci la convinzione che occorre creare ricchezza e puntare su un’idea di sviluppo attorno alla Marina di Latina. Tutto questo serve a creare lavoro. Ma la chiave deve essere ‘cooperare per competere’. La classe dirigente e soprattutto quella politica di Latina sarà in grado di portare avanti questa sfida? Visto lo stato in cui si trova, tra degrado e opere incompiute i dubbi sono più che leciti.

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