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Il guanto di sfida di Pompeo alla nomenklatura locale del Pd. Il modello Frosinone non esiste più nel centrodestra

Licandro Licantropo
Il passaggio della campanella con Mario Draghi è l’ultimo atto formale. Poi il primo consiglio dei ministri.
Ottobre 23, 2022
Antonio Pompeo

Ha recitato a memoria la formula del giuramento, senza leggere bigliettini. E’ anche per questo che la chiamano “la secchiona”. Giorgia Meloni al Quirinale ha respirato il profumo della Patria, emozionandosi, salutando la figlioletta e stringendo la mano a tutti i suoi ministri, molti dei quali accompagnati dalle famiglie, spesso allargate. Il passaggio della campanella con Mario Draghi è l’ultimo atto formale. Poi il primo consiglio dei ministri. Da adesso in poi Governo al lavoro sulle tante emergenze di un Paese che undici anni di Esecutivi più o meno tecnici non hanno risolto. Sarà durissima e Giorgia Meloni lo sa. Dall’altra parte le opposizioni promettono battaglia disinterassandosi completamente di quelli che saranno i primi provvedimenti reali e concreti del Governo Meloni. Neppure li leggeranno: gli atti saranno contestati a prescindere. Il Partito Democratico, però, continua a sottovalutare la situazione: i Cinque Stelle di Giuseppe Conte puntano al sorpasso che, se avvenisse, potrebbe determinare la sindrome dei Socialisti francesi, diventati marginali dall’oggi al domani.

IL TRAGUARDO DI POMPEO

Mentre al Quirinale giurava il nuovo Governo, ieri a Ferentino Antonio Pompeo celebrava la prossima conclusione dei due mandati, da sindaco e da presidente della Provincia. Pd al gran completo, tra Bruno Astorre, Matteo Orfini, Francesco De Angelis e Luca Fantini. C’erano pure (lontanissimi) Mauro Buschini e Sara Battisti, attenti a chi era presente per capire l’effettivo bacino elettorale di Pompeo. Nella prospettiva delle regionali naturalmente. Da adesso in poi però Pompeo non potrà fare sconti: la sua corrente è minoritaria nel Pd, molti amministratori del partito sono schierati con Pensare Democratico di Francesco De Angelis, altri con lui. In questa campagna elettorale però non potranno esserci spazi per tentennamenti e signorilità. Pompeo guida un’area che fu di Francesco Scalia: democristiana, moderata, trasversale. Spesso il presidente della Provincia non ha condiviso l’impostazione del Governatore Nicola Zingaretti. Per esempio sui rifiuti: in svariate occasioni Pompeo non ha mancato di ricordare che se l’immondizia romana non fosse stata trattata in Ciociaria, la discarica di Roccasecca sarebbe rimasta operativa fino al 2026 e questo territorio non avrebbe conosciuto l’emergenza. Pompeo spingeva per la realizzazione della stazione Tav di Ferentino-Supino (anche se ieri l’argomento è stato trattato con fastidiosa sufficienza). Argomenti e temi che adesso deve riversare in campagna elettorale, senza timore di offendere qualcuno. La competizione con Mauro Buschini sarà durissima, come è giusto che sia. Il Partito Democratico non ha alcun interesse a schierarsi stavolta, perché mai come stavolta servono i voti. Esattamente come seppe fare Francesco Scalia, Antonio Pompeo dovrà diventare il punto di riferimento di un’area più vasta di Base Riformista. Alcuni segnali sono già arrivati. Quando il sindaco di Ferentino dice che non ci si può limitare alla difesa dei valori e dei principi, intende mettere in chiaro che le famiglie italiane sono preoccupate dall’aumento delle bollette e dalla mancanza di lavoro. Mentre i vertici Democrat si concentrano esclusivamente sui temi etici, sui diritti e sul colore delle famiglie.  Argomenti importanti per carità, ma non prioritari in questo momento. L’elezione di Antonio Pompeo al consiglio regionale dipenderà in primo luogo dalla sua capacità di differenziarsi dagli schemi di Mauro Buschini e Sara Battisti.

FROSINONE, C’E’ ANCORA IL BRAND?

Il capoluogo difficilmente eleggerà un proprio consigliere regionale. La proposta del presidente del consiglio Massimiliano Tagliaferri (vero artefice del processo unitario in campagna elettorale) è stata prima annacquata e poi archiviata. Nicola Ottaviani, parlamentare e segretario provinciale della Lega, non ha voluto coglierla. Ma esisteva o no un gruppo di persone in grado di poter trovare una formula vincente e percorribile? Quante volte ne hanno parlato Nicola Ottaviani, Massimiliano Tagliaferri e Adriano Piacentini? Adesso improvvisamente tutti si accorgono che i partiti dovranno presentare le proprie liste? Ma come funziona? Nell’immediata vigilia del voto del 25 settembre, Frosinone Capoluogo (l’assessore Maria Rosaria Rotondi e il consigliere Pasquale Cirillo) aderisce alla Lega. Poi la Lista per Frosinone del vicesindaco Antonio Scaccia si fa fotografare con Matteo Salvini. Quindi il sindaco Riccardo Mastrangeli fa l’endorsement al Capitano per le politiche sull’immigrazione. Nessuno ignora che la Lista Ottaviani è schierata, come recita il nome, con l’ex sindaco. Cioè i due terzi della maggioranza e della giunta potenzialmente  gravitano attorno alla Lega. Liste civiche comprese. Fin quando il sindaco era Ottaviani, però, la differenza tra partiti e civiche è stata inviolabile. Adesso che ad indossare la fascia tricolore è Mastrangeli i confini sono spariti. L’obiettivo politico è quello di far crescere il Carroccio nel capoluogo, relegando in seconda fila Fratelli d’Italia. Non succederà, non potrà succedere dopo il voto delle politiche. La conseguenza è che Riccardo Mastrangeli difficilmente sarà il candidato alla presidenza della Provincia di tutto il centrodestra. Inoltre, nonostante tutto questo schierarsi delle diverse liste, la Lega a Frosinone non eleggerà un consigliere regionale. L’insolito asse tra Nicola Ottaviani e Pasquale Ciacciarelli sembra essersi saldato. Quanto al modello Frosinone, è assai sfocato. Se venisse messa da parte la possibilità concreta di giocarsi il seggio alla Pisana candidando Il presidente del Consiglio, Massimiliano Tagliaferri, il giocattolo si romperebbe definitivamente. Gli stessi protagonisti lo hanno capito da tempo.

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