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Il “day after” del Frosinone: città incredula, tifoseria delusa e tanti rimpianti

Roberto Mercaldo
Maggio 27, 2024

Difficile da metabolizzare. Una retrocessione arrivata al 93′, in dipendenza di un gol segnato su un altro rettangolo di gioco, non è così frequente. E brucia, per mille ragioni. Anzitutto il gioco espresso. Il Frosinone nel girone di andata ha rappresentato la novità più piacevole di tutta la serie A, sorprendendo per intensità, fantasia e fluidità di manovra. Le disavventure fisiche in serie dei difensori e la conseguente necessità di trovare soluzioni “alternative” hanno rimesso tutto in gioco e hanno creato problemi ai quali non sempre si è trovata soluzione. Un calendario proibitivo proprio in coincidenza con la fase critica ha fatto il resto ed ha proiettato i canarini in una zona d’ombra dalla quale in verità sembravano usciti grazie a una serie di prestazioni all’insegna della concretezza.
L’ultima giornata presentava al Frosinone otto combinazioni di risultati favorevoli su nove: la sola combinazione letale, vittorie dell’Udinese e dell’Empoli, è stata quella che il campo ha espresso. E ai verdetti del campo, purtroppo, non c’è modo di opporsi in alcuna sede.
Solo per limitarci all’ultima gara, va detto che il Frosinone per quanto mostrato nei 90′ non ha assolutamente meritato la sconfitta: almeno tre parate decisive di Okoye, una traversa e un palo per i giallazzurri, l’isolata e fortunata azione del gol per i friulani.
Questa gara non è stata la sola in cui il Frosinone non abbia raccolto per quanto seminato. Anche nel match casalingo contro il Lecce i canarini avevano sostanzialmente controllato tutta la gara, salvo farsi riagguantare su un poco premiante 1-1 per l’unica disattenzione difensiva, dalla quale è scaturito il rigore per i salentini. A Torino contro la Juventus è arrivata una sconfitta al 94′, a 15 secondi dal termine. E a Reggio Emilia, contro il Sassuolo, l’errore dal dischetto di Kaio Jorge ha negato un pari prezioso e non certo immeritato.
Evitando in questa sede di allargare ulteriormente il campo d’indagine sempre un po’ minato di quel che poteva essere e non è stato, ci limitiamo a sottolineare come la dea bendata sia stata più matrigna che amante dei ragazzi di mister Di Francesco.
I limiti: certamente esistevano, altrimenti non si sarebbe arrivati a giocarsi la salvezza negli ultimi novanta minuti. E alcuni erano strutturali, perché il pacchetto arretrato non è stato assemblato in modo ottimale e gli innesti di gennaio non sono bastati a fornire quell’impermeabilità indispensabile per mettersi al riparo da sorprese sgradite (e purtroppo arrivate in extremis). Anche un centravanti di esperienza sarebbe servito ad impedire quell’attaccare un po’ asfittico, quel prodigarsi per stringere un pugno di mosche che troppe volte è stato una costante in stagione. Fermatosi, almeno in fase realizzativa, il talentuosissimo Soulé, che peraltro punta pura non è, Cheddira è riuscito in qualche modo a dare una scossa alla propria stagione, timbrando l’appuntamento col gol con una certa continuità. E’ mancato il bomber di razza, che probabilmente sarebbe arrivato se Caso non avesse rifiutato il trasferimento in inverno, per poi vivere ai margini della squadra fino a fine stagione. Il “pasticcio Caso” ha danneggiato tutti: la squadra, il giocatore, la tifoseria. Poteva e doveva essere evitato.
La città è attonita, perché la prima salvezza della storia era davvero a un dipresso. Okoye sarà ricordato come Floriano, e anche con più dolore, perché mentre il gol del foggiano fu poi cancellato dal vittorioso playoff contro il Palermo, alle parate del portiere nigeriano non si potrà più porre rimedio.
La conclusione amara, per il Frosinone ovviamente, del match giocato in Toscana tra una Roma non più motivata e la Nicola band a caccia della salvezza, induce a riflettere sulla possibilità di introdurre anche in serie A i playout, per evitare che il destino delle retrocedende debba essere involontariamente deciso da squadre che con quella zona di classifica nulla hanno a fare. Restano le recriminazioni legate a una concreta possibilità gettata al vento, perché a differenza delle due precedenti esperienze, stavolta il Frosinone aveva davvero tutte le carte in regola per ottenere la prima salvezza della storia. E l’avrebbe meritata, per capacità tecniche e livello di gioco. E’ forse mancato un pizzico di “cattiveria sportiva”, perché quello si acquisisce anche con l’esperienza. E questa squadra era giovane, vogliosa di fare ma a volte un po’ arruffona. Dispiace anche e soprattutto per Di Francesco, che si è rimesso in gioco con enorme professionalità, che non ha mai cercato scusanti alle sconfitte e che ha saputo creare e cementare un bel gruppo. E’ mancato il lieto fine, ma resta un campionato ricco di belle emozioni e una stagione in cui il Frosinone ha eliminato in Coppa Italia prima il Torino e poi il Napoli. Quel roboante 4/0 poteva essere il manifesto della stagione. Invece Davis si è preso la copertina, su sfondo nero, lasciando attoniti una città, un popolo e tanti innamorati del sogno giallazzurro. Ripartire si deve e si può, ma adesso è il momento della tristezza, che forse renderà più bella la prossima gioia.

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