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Il Brasile spegne il sogno d’oro delle azzurre

Roberto Mercaldo
Il sestetto di Ze Roberto vince in quattro set la semifinale mondiale
Ottobre 14, 2022

Apeldoorn, ore 21,30: l’Italia, dopo aver rimontato con le unghie e con i denti, può giocare il contrattacco che vale il terzo set. Orro si affida a Paola Egonu che è in prima linea, in posto 2. Il Brasile contiene ma non riesce a contrattaccare con efficacia e le nostre possono rigiocare. Si va ancora lì, dalla nostra giocatrice più forte, che forza il diagonale senza trovare le mani del muro, né il campo. Il Brasile impatta così a 24, poi mura a uno al centro per il sorpasso, difende e contrattacca, prendendosi il terzo set. Dramma azzurro in tre atti, perché anche se siamo sul 2/1, la partita di fatto finisce qui. Il quarto è un monologo verdeoro, o meglio lo diventa nel momento in cui va al servizio in salto flot Carol Gattaz. Non è un servizio imprendibile, ma lo diventa perché nel cuore delle azzurre è scesa d’improvviso la notte. E allora il 7/8 diventa 7/16: la ricezione va in tilt e l’attacco di colpo perde ogni efficacia, quale che sia la giocatrice chiamata in causa. Dall’altra parte della rete le brasiliane sono spietate, non regalano un centimetro, azzannano la preda azzurra per impedirle ogni reazione. È un’esecuzione, la partita è finita con quel dramma in tre atti delle 21,30. Ancora fatal Brasile, il risveglio tardivo serve solo a dare al quarto parziale un’espressione numerica meno impietosa. Così, dopo averci tolto l’imbattibilità nel girone con un 3/2 all’ultimo respiro, la Gabi band ha replicato nell’incontro del dentro o fuori, privandoci di quel sogno d’oro che nei lunghi giorni di un mondiale infinito sembrava aver acquisito forma e consistenza. È la legge dello sport, va avanti il migliore senza riguardo per quel che è stato, senza rispetto delle potenzialità. E il migliore nella semifinale di Apeldoorn è stato il Brasile, che ha difeso meglio, murato meglio (7 a 21) e attaccato meglio. Poco importa che le quote pre-match dessero l’Italia a 1,30 e il Brasile a 3. Poco importa quel che le azzurre hanno fatto due mesi fa in una trionfale Nations League. A sfidare la Serbia va chi lo ha meritato nella prova senza appello. L’orgoglio azzurro ha consentito di giocare alla pari tre set, a dispetto di un Brasile superiore in tutti i fondamentali. Il primo parziale si era chiuso 25-23, con un attacco fuori di Paola Egonu. Nel secondo l’Italia aveva coronato il proprio inseguimento nella parte conclusiva del set, rimettendo le cose a posto. E nel terzo è accaduto quel che si è descritto, quel fatale inciampo dell’agonistica virtù proprio nel momento topico. Perché lo sport non è un film, né un’equazione. Lo sport ignora la riconoscenza, la memoria e persino il sogno: quando c’è una gara senza appello si riparte da zero e quel che è stato può solo tradursi in convinzione. Che non sempre basta. Ci giocheremo il bronzo con gli Stati Uniti, battuti dalla Serbia di Boskovic nel rispetto del pronostico e della forza propulsiva di un attacco stellare. Dopo l’argento di quattro anni fa, tornare sul podio significherebbe tanto. Tanto ma non tutto. Il “tutto” è svanito nel momento di quel reiterato contrattacco. La finale stellare vedrà Gabi contro Boskovic, due scuole a confronto, due modi diversi di essere grandi. Grandi lo siamo anche noi. Onore a Paoletta Egonu, a Orro, a Sylla, Lubian, Danesi, Petrini e Di Gennaro. E a tutte le altre che hanno scritto e scriveranno altre pagine belle. Ieri si è perso perché il Brasile è stato più forte. Ripartiremo da questa consapevolezza.

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