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Giorgia l’inclusiva. Calenda l’antipatico (al Pd). Ilaria Fontana archivia Zingaretti

Licandro Licantropo
Chi prende più voti indica il premier: un ritorno al futuro che guarda al passato come regola condivisa e non come dimensione nostalgica.
Luglio 28, 2022
Giorgia Meloni

Il centrodestra ha trovato l’accordo sulla premiership e sulla suddivisione dei collegi uninominali. Ad emergere però è stata l’inclusività di Giorgia Meloni, che poteva chiedere di più (ma non lo ha fatto), che  ha accettato che i sondaggi sui quali definire la ripartizione fossero quelli antecedenti la caduta del Governo Draghi (gli attuali danno forbici maggiori con gli alleati), ma che soprattutto ha dimostrato di poter rappresentare la coalizione sul piano politico ma pure empatico. Qualche sera fa la leader di Fratelli d’Italia è stata l’ospite d’onore della grande festa estiva organizzata da Gianfranco Rotondi per i suoi 62 anni. E nella splendida cornice di Casina di Macchia Madama a Roma ha sfoggiato sorrisi, ha partecipato al taglio della torta e ha monopolizzato le attenzioni del popolo del selfie. Anche questo significa fare politica, specialmente in un momento nel quale Forza Italia e Lega le avevano chiesto di essere appunto “inclusiva”.
Termine che nel linguaggio degli addetti ai lavori vuol dire saper rinunciare per motivare l’intera squadra. I freddi numeri della suddivisione dei collegi maggioritari sono questi: 98 a Fratelli d’Italia, 70 alla Lega, 42 a Forza Italia (e Udc), 11 a Noi con l’Italia e Coraggio Italia. FdI poteva avere molto di più, ma questo è stato il primo segnale da capo della Meloni. Le difficoltà non sono finite, il durissimo botta e risposta tra Antonio Tajani e Maurizio Lupi tradisce i nervi scoperti all’interno della coalizione, ma è stato effettuato un passo decisivo. Chi prende più voti indica il premier: un ritorno al futuro che guarda al passato come regola condivisa e non come dimensione nostalgica. La battuta iniziale di Silvio Berlusconi a Giorgia Meloni ha fatto capire che il centrodestra vuole vincere e governare a lungo: “Beh, abbiamo fatto cadere il Governo Draghi: potevi ringraziarci”. A dimostrazione che le intese politiche non possono prescindere dal fattore “empatia”.

PROGRESSISTI SULLA TORRE DI BABELE

Il segretario del Pd Enrico Letta non è andato oltre uno scontato e rancoroso “Salvini e Berlusconi si sono consegnati a Giorgia come dei gregari”. In realtà nel Campo progressista si capisce poco. La stragrande maggioranza del Pd non sopporta Carlo Calenda. Lo ha fatto capire chiaramente Andrea Orlando. Matteo Renzi è un potenziale alleato assai ingombrante, Nicola Fratoianni non sa a quale equilibrismo votarsi per cercare di trovare una soluzione dialettica (quella politica è impossibile) per giustificare una eventuale intesa con Azione. Il cosiddetto partito dei sindaci e degli amministratori ha pensato (bene) di restare a guardare. Ma è nel Movimento Cinque Stelle che si sta consumando una commedia dell’assurdo da… Oscar perpetuo. Il fondatore Beppe Grillo, in un sussulto d’orgoglio (meglio tardi che mai, però fino ad un certo punto) ha fatto sapere che sulla regola dei due mandati lui non può derogare. Altrimenti si dimette. Giuseppe Conte ha smentito dissidi, dimostrando che oltre alla commedia dell’assurdo può sfondare nel mondo televisivo (Zelig sarebbe perfetto). La verità è che si sta cercando il modo di poter candidare ancora big come Paola Taverna e Roberto Fico. E’ difficile però, soprattutto dopo aver “crocifisso” Luigi Di Maio per questo. Grillo deve prendere atto che il Movimento Cinque Stelle non esiste più, l’avvocato del popolo non ha il profilo politico di Melenchon in Francia, non c’entra nulla con la nemesi del Vaffa. L’ideologo è Rocco Casalino. Ha ragione Di Maio quando parla di “partito di Conte”. E’ solo questo. Eppure nel prossimo mese e mezzo davanti all’ufficio di Letta ci sarà la fila per chiedere al segretario di ripensarci sul punto dell’alleanza con i Cinque Stelle. La grande ammucchiata come antidoto alla solita destra post-fascista.

IL GRANDE BLUFF DEL CAMPO LARGO

Per mesi è stato il tormentone della sinistra, specialmente nel Lazio. Alle comunali di Frosinone Nicola Zingaretti lo ha imposto gettando alle ortiche la candidatura di Mauro Vicano. L’asse imprescindibile era quello tra Pd e Cinque Stelle. Ieri Ilaria Fontana, deputata del Movimento e sottosegretario al ministero della transizione ecologica, ha diffuso una dichiarazione per dire a Zingaretti di “aver letto con stupore la formale presentazione da parte del commissario straordinario per gli interventi di bonifica e messa in sicurezza della Valle del Sacco, della richiesta di riperimetrazione del Sin della Valle del Sacco”. “Un’iniziativa – ha aggiunto – che considero errata, inopportuna e contraddittoria”. Concludendo: “Quello che è certo è che la bonifica del Sin Bacino del Fiume Sacco andrà avanti. Una necessità e responsabilità che dobbiamo alle comunità locali e alle future generazioni”. Una dichiarazione di guerra a Nicola Zingaretti, che tra due mesi sarà senatore e si lascerà alle spalle l’esperienza da presidente della Regione. Alcune cose però vanno dette. La prima riguarda il piano politico: il progetto di alleanza tra Pd e Cinque Stelle (il Lazio è stato un laboratorio) è fallito in maniera clamorosa. Le parole di Ilaria Fontana sono un “de profundis” in piena regola. Ma lo si era capito da tempo e questo per Zingaretti è un errore grave. Un politico del suo livello non può permettersi il lusso di insistere su un “modello” che non va da nessuna parte. La  bonifica della Valle del Sacco: i due mandati da Governatore si concludono con un nulla di fatto e, quel che più sconcerta, lo strombazzato annuncio di Zingaretti di sospendere il decreto di perimetrazione del Sin è stato un flop con pochi precedenti. Non basta adesso allinearsi al pensiero di Enrico Letta e archiviare l’esperienza con i Cinque Stelle. Non basta perché nel Lazio è stata quella l’esperienza caratterizzante. Ci sono momenti nella vita nei quali ammettere di aver sbagliato non fa perdere consensi. E se anche lo facesse, ne varrebbe comunque la pena.

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