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Tangentopoli 30 anni dopo. Nordio: “Mani Pulite? Rivoluzione mancata, la corruzione resta”

Alberto Fraja
Tanti gli spunti di riflessione e i quesiti contenuti nell’ultimo libro di Carlo Nordio “Giustizia. Ultimo atto. Da Tangentopoli alla magistratura”
Marzo 3, 2022
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Carlo Nordio

Sono le 17,30 del 17 febbraio 1992 quando nel suo ufficio in via Marostica 8, a Milano Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, viene arrestato per una tangente da 14 milioni di vecchie lire consegnatagli dal giovane imprenditore Luca Magni. Il reato contestato è quello di concussione. L’operazione è stata allestita dal sostituto procuratore Antonio Di Pietro e dal capitano dei carabinieri Roberto Zuliani. La vulgata narra di uno Chiesa beccato col sorcio in bocca e cioè mentre sta cercando di far sparire i soldi gettandoli nel water. Anni dopo il suo legale, Stefano Banfi, smentirà tutto. Come che sia è da quell’arresto che prende l’abbrivio la più clamorosa inchiesta giudiziaria mai apparecchiata dalla magistratura da che l’Italia s’è fatta unita.

E’ tuttavia solo un anno dopo che Tangentopoli (così nel frattempo è stata ribattezzata la grande offensiva giudiziaria nei confronti della politica) escala verso esiti fino a qualche tempo prima inimmaginabili. E’ il 1993, l’anno in cui mentre la Prima Repubblica cade sotto i colpi degli avvisi di garanzia, la mafia torna ad alzare il tiro a suon di stragi e attentati e l’economia del Paese subisce un tracollo. Sono 70 le procure che avviano lungo la Penisola filoni sulla corruzione nella pubblica amministrazione sviluppando procedimenti a carico di 12mila persone.

A distanza di tre decenni la domanda sorge spontanea: fu vera gloria? Detto altrimenti: Mani Pulite rappresentò davvero il gigantesco lavacro di un Paese allora devastato dalla diffusa corruzione e grazie al quale l’italiano medio ebbe modo di affinare la propria indole ferocemente calvinista col prossimo e generosamente cattolico con sé stesso? E soprattutto: quella rivoluzione giudiziaria pose effettivamente le basi per un vero “regime change” in politica e per un salto di qualità della magistratura italiana?
Sono questi i quesiti essenziali di cui si nutre l’ultimo libro di Carlo Nordio “Giustizia. Ultimo atto. Da Tangentopoli alla magistratura” (Guerini Associati, 192 pagine, 18,50 euro). Nordio avanza prima di tutto un distinguo semantico a proposito delle espressioni utilizzate per caratterizzare quel periodo: Tangentopoli e Mani Pulite.

“La prima esprime una realtà economico-politica, cioè il generalizzato finanziamento illegale dei partiti accompagnato, e talvolta sostituito, dall’arricchimento individuale – spiega Nordio – La seconda concerne l’intervento giudiziario che ha scoperto e sanzionato questa degenerazione. In sintesi: Tangentopoli era la malattia, Mani Pulite la cura.

E qui veniamo al quia. A parere di Nordio, a lungo procuratore aggiunto di Venezia nonché protagonista di quella stagione con la celebre inchiesta sulle cosiddette cooperative rosse, la cura si è rivelata più dannosa della malattia. In altri termini, questa è la tesi del libro, si è trattato di un colossale, duplice fallimento.

“Perché da un lato la corruzione è continuata e continua, sia pure sotto forme assai diverse, tanto che il governo Conte ha fatto una dura quanto sgangherata battaglia per eliminarla – scrive l’autore – La modifica della prescrizione, un vero e proprio mostro giuridico, è stata giustificata proprio da questo. Non solo: la corruzione si è estesa, come ha dimostrato l’inchiesta del Mose, persino agli organi di controllo che avrebbero dovuto impedirla”. Dall’altro lato “l’accumulo di prestigio e quindi di potere da parte della magistratura ha determinato sia la subordinazione della politica, sia la degenerazione della stessa corporazione giudiziaria, culminata nello scandalo Palamara, subito superato da eventi ancor più gravi, che hanno coinvolto la Procura simbolo di Mani Pulite”.

Di questo triste epilogo il protagonista di allora, Francesco Saverio Borrelli, aveva già fatto ammenda nel maggio del 2011, quando affermò che «non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare in quello attuale». “Purtroppo l’illustre procuratore si riferiva alla crisi della politica e all’estensione della corruzione – postilla Nordio – Non avrebbe immaginato che gli effetti perniciosi della Ubris della magistratura si sarebbero un giorno convertiti in una Nemesi che ha travolto lo stesso ufficio un tempo da lui diretto con signorile competenza”.

Tutto ciò non poteva che comportare quello che, secondo l’autore, è il terzo nodo della questione. Quello cioè relativo alle centinaia di migliaia di firme raccolte per il referendum che, a parere di Nordio, “rappresentano la ribellione del cittadino davanti a questo discredito. Indipendentemente dalla formulazione dei quesiti, imperfetta e spesso incomprensibile, il messaggio sottostante è chiarissimo: vogliamo una rivoluzione copernicana della giustizia”.

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