Per Il Foglio quotidiano la crisi profonda e irreversibile del Partito Democratico sta tutta nelle parole di Nicola Zingaretti sul termovalorizzatore di Roma. L’ormai ex Governatore ha detto che la Regione Lazio non ha mai autorizzato e mai autorizzerà una struttura del genere. Di conseguenza la rottura dell’alleanza da parte di Giuseppe Conte è senza motivo. Si tratta di un estremo tentativo per resuscitare il Campo largo, ma non c’è solo questo. Zingaretti ha sconfessato, proprio sul termovalorizzatore di Roma, la linea del sindaco Roberto Gualtieri e del segretario nazionale Enrico Letta. Facendo ancora una volta fatica a leggere una situazione politica cristallina: Giuseppe Conte vuole “vampirizzare” i Democrat ed è per questo che non intende sottoscrivere alleanze. Chiedere il ritiro del termovalorizzatore di Roma equivale a invitare il Pd ad una resa incondizionata. Che Zingaretti abbia preso le distanze da Enrico Letta è ormai evidente.
D’AMATO, BETTINI E MANCINI
Il Pd è spaccato anche sulla candidatura alla presidenza della Regione. Nel pomeriggio al Teatro Brancaccio Alessio D’Amato chiarirà ancora meglio le sue intenzioni. Ha il sostegno di Enrico Letta per la candidatura alla presidenza della Regione Lazio e infatti da giorni non fa che ripetere che lui si muoverà in una logica unitaria e condivisa. Avrà l’appoggio pure di Azione di Carlo Calenda e di Italia Viva di Matteo Renzi. Sempre D’Amato ha voluto citare il precedente del 2018, quando il centrosinistra di Nicola Zingaretti alla Regione ha vinto senza i Cinque Stelle, che candidavano Roberta Lombardi. Uno scenario molto simile a quello del prossimo febbraio. L’onorevole Claudio Mancini nel Pd romano è ascoltato e influente. Se sarà presente alla convention di D’Amato, allora sarà l’ennesimo segnale a favore dell’assessore alla sanità. C’è un altro pezzo di Pd però che non si arrende e che continuerà a “corteggiare” Conte fino all’ultimo minuto possibile. Lo faranno sicuramente Goffredo Bettini e Nicola Zingaretti. A dimostrazione di una profonda spaccatura del partito nel Lazio e in Italia. Tra chi guarda ai pentastellati e chi al Terzo Polo, tra chi si riconosce ancora nelle posizioni di Letta e chi è già oltre il congresso. Il risultato delle regionali del Lazio sarà più importante di quello nazionale per i Democrat. Il centrodestra stavolta non può fallire. Il precedente del 2018 va analizzato bene però: Stefano Parisi fu candidato sul suono della sirena, catapultato dalla Lombardia e con una serie di veti incrociati micidiali. Nonostante tutto questo fu protagonista di una rimonta di un certo rilievo (rispetto ai sondaggi), insidiò Zingaretti e il centrodestra raggiunse la maggioranza nei voti per le liste. Oggi la situazione è diversa e il centrodestra deve soprattutto scegliere il candidato in tempi rapidi, dandogli la possibilità di fare una campagna elettorale a tappeto. Se poi la scelta ricadrà su Chiara Colosimo piuttosto che su Francesco Rocca, su Fabio Rampelli piuttosto che su Claudio Fazzone importerà fino ad un certo punto. Vincere nel Lazio darebbe una spallata notevole ad un Pd già in difficoltà e rappresenterebbe una spinta forte anche per il Governo di Giorgia Meloni e per la maggioranza parlamentare.
IL RIFIUTO DELLA REALTA’ IN CIOCIARIA
In provincia di Frosinone la Lega prosegue nella sua corsa solitaria pur di non prendere atto di una realtà politica e numerica. Alle provinciali il centrodestra rischia di non presentarsi unito perché il Carroccio insiste sulle sue posizioni evitando ogni tipo di riflessione e di confronto. Ieri c’è stato un altro segnale chiaro: l’onorevole Massimo Ruspandini è fra i tre vicepresidenti del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia alla Camera. Il primo partito in Italia, nel Lazio, in Ciociaria, a Frosinone. Un ruolo assolutamente politico, che fa capire quanto Ruspandini conti nelle gerarchie del partito. In passato Fratelli d’Italia, anche in Ciociaria, non ha contestato gli assetti dell’alleanza di centrodestra quando era Forza Italia (Antonello Iannarilli, Alfredo Pallone, Mario Abbruzzese) a dettare regole e candidature. Adesso la situazione è cambiata e Fratelli d’Italia e Lega non se la giocano per pochi voti. Il partito di Giorgia Meloni ha il triplo del consenso di quello di Matteo Salvini. Pure dalle parti nostre. Al Comune di Frosinone Fratelli d’Italia è stato il primo partito del centrodestra, mentre la Lega ha preferito dividersi nei mille rivoli delle liste civiche. Non c’è nulla di strano se Fratelli d’Italia ambisce ad indicare il nome del candidato alla presidenza della Provincia. Ma il Carroccio non ci sta. Sulla base di quale logica politica se non quella del dispetto? A meno di non pensare che ci siano input nazionali per mettere in difficoltà il partito di Giorgia Meloni nei territori. Magari il senatore, coordinatore regionale e sottosegretario al lavoro Claudio Durigon potrebbe fare chiarezza sul punto. Proprio in queste ore Durigon chiede alla coalizione di procedere come una falange macedone per le regionali del Lazio. Assumersi la responsabilità di spaccare il centrodestra alle elezioni per la presidenza della Provincia di Frosinone sarebbe una scelta della quale Lega dovrebbe poi rendere conto.