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Regione Lazio, la trappola della data del voto. L’ossessione di “Zinga” (e Bettini) per il defunto campo largo

Licandro Licantropo
Nonostante un fallimento con pochi precedenti, lo stesso Nicola Zingaretti, ma anche Goffredo Bettini e Bruno Astorre, continuano a parlare di Campo largo come soluzione per battere il centrodestra. Senza tenere conto delle posizioni di chi quel Campo largo dovrebbe realizzarlo.
Settembre 29, 2022
Nicola Zingaretti, presidente Regione Lazio

Chi lo ha detto che alla Regione Lazio si voterà a gennaio? Adesso si attende la proclamazione degli eletti da parte degli uffici regionali presso le Corti d’Appello. Un passaggio più complicato quest’anno per via della legge che ha “tagliato” 345 seggi parlamentari. Nella prima seduta delle Camere, fissata per il 13 ottobre, verranno proclamati gli eletti ufficialmente anche in sede parlamentare. La normativa è chiara. Dal momento in cui sarà proclamato deputato, Nicola Zingaretti avrà sessanta giorni di tempo per scegliere se accettare il nuovo incarico a Montecitorio oppure restare presidente della Regione fino al termine del mandato. Naturalmente l’opzione è ovvia. Ma attenzione ai tempi, perché soltanto dopo la ratifica della carica di deputato scatterà la cosiddetta incompatibilità. Soltanto allora Zingaretti dovrà dimettersi da Governatore e da quel momento si inizieranno a contare i novanta giorni per la nuova tornata elettorale. Dipende tutto da quanti dei sessanta giorni si prenderà Zingaretti per la scelta. L’arco temporale del ritorno alle urne va da gennaio 2023 a marzo 2023. Ci saranno poi considerazioni politiche, nel senso che il Pd potrebbe prendersi più tempo per provare a riorganizzarsi. Oppure per scegliere il candidato alla successione. In ogni caso il centrodestra non può permettersi il lusso di cullarsi sugli allori se davvero vuole vincere nel Lazio. Contemporaneamente però dovrà vigilare sui tempi e su un cronoprogramma che potrebbe essere deciso guardando alle decisioni che il prossimo governo di Giorgia Meloni dovrà prendere. Con provvedimenti coraggiosi e impopolari per la questione delle bollette e per la disastrata situazione economico-finanziaria che erediterà. Dal governo dei (presunti) migliori.

La data del voto per le regionali del Lazio potrebbe trasformarsi in una trappola.

OSSESSIONE CAMPO LARGO

Nonostante un fallimento con pochi precedenti, lo stesso Nicola Zingaretti, ma anche Goffredo Bettini e Bruno Astorre, continuano a parlare di Campo largo come soluzione per battere il centrodestra. Senza tenere conto delle posizioni di chi quel Campo largo dovrebbe realizzarlo. Carlo Calenda, leader di Azione, uscito disilluso e ridimensionato dalla tornata del 25 settembre, ha ribadito poche ore fa che in Parlamento non ci sarà un gruppo unico delle opposizioni. Porta in faccia al Pd. Giuseppe Conte, capo del Movimento Cinque Stelle, ha annunciato le barricate sul reddito di cittadinanza, differenziando ulteriormente la posizione dei pentastellati rispetto a quella dei Democrat. Fra l’altro nel Lazio il Pd ha eletto in Parlamento sia Michela Di Biase che Marianna Madia, le quali a questo punto sono automaticamente fuori dalla corsa per la candidatura alla presidenza della Regione. Chi glielo farebbe fare di lasciare il certissimo per l’incertissimo? Sono stati eletti altresì Claudio Mancini, Matteo Orfini, Roberto Morassut e Paolo Ciani. Indubbio segnale di forza del Pd romano e in parte laziale (Bruno Astorre). Goffredo Bettini ha immediatamente rialzato la testa, riproponendo l’asse di ferro con Giuseppe Conte. Un’ossessione politica francamente non suffragata dalle scelte e dagli scenari. L’impressione è che a fine ottobre tornerà d’attualità la designazione di Enrico Gasbarra. Mentre Daniele Leodori e Alessio D’Amato non hanno intenzione di indietreggiare di un millimetro. Nessuno parla più di primarie.

IL VOTO HA BOCCIATO I PARTITI DI GOVERNO

Le ammucchiate non pagano. C’è un dato poco approfondito nell’analisi del post voto. Tutte le forze che hanno sostenuto il governo dei (presunti) migliori di Mario Draghi hanno pagato dazio. Il caso più eclatante è la disfatta della Lega di Matteo Salvini. Ma anche il Pd di Enrico Letta, nonostante un lieve recupero in termini percentuali rispetto al 2018 (minimo storico), è crollato con riferimento ai sondaggi che circolavano fino a metà settembre. Il Movimento Cinque Stelle ha ragione ad esultare per il risultato raggiunto (terzo partito), ma dimentica l’altra faccia della medaglia: persi 6 milioni di voti rispetto al 4 marzo 2018, quando si voleva aprire il Parlamento come una scatola di tonno. Salvo poi governare indifferentemente con Salvini e Zingaretti e poi alzare la manina all’appello di Mario Draghi. Pure Forza Italia è indietreggiata di molto: la resilienza di Silvio Berlusconi fa già parte da anni della leggenda, ma i voti sono stati molti di meno. Giorgia Meloni ha costruito il trionfo del 25 settembre quando decise di restare da sola all’opposizione del Governo Draghi. Sono dati che vanno letti e interpretati, altrimenti non si capisce cosa e perché è successo.

IL TALISMANO DEI COORDINATORI REGIONALI

Nessun problema di riconferma in Parlamento per i coordinatori regionali dei principali partiti. Nel Lazio Claudio Fazzone (Forza Italia) ancora una volta ha dimostrato di essere una “locomotiva in corsa”. Impossibile da fermare. Nel maggioritario del Senato del Basso Lazio ha fatto il pieno di consensi e… il vuoto nei confronti degli avversari. Bruno Astorre, segretario regionale del Pd, non ha avuto problemi come capolista nel collegio proporzionale del Senato. Come Claudio Durigon, il più alto in grado della Lega nel Lazio. Paolo Trancassini, presidente regionale di Fratelli d’Italia, ha sbaragliato il campo nell’uninominale.

Ulteriore dimostrazione che il sette volte presidente del consiglio Giulio Andreotti aveva ragione quando sosteneva che il potere logora chi non ce l’ha.

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