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Ponte Malnome, lavoratori Ama tra degrado e igiene precaria, pronti allo sciopero 

Marco Battistini
Ottobre 4, 2023
Foto: ANSA

E’ uno dei più grandi stabilimenti di Ama a Roma. Ospita un’autorimessa con 190 mezzi pesanti, che ogni giorno svuotano i cassonetti dell’indifferenziato, un’officina, un’area di trasferenza dove quotidianamente vengono scaricati i rifiuti tal quali (autorizzati fino a un massimo di 900 tonnellate al giorno) e di plastica (autorizzate fino a 300 tonnellate al giorno) per poi essere caricati sui cosiddetti bilici che partono alla volta di altri impianti nel Lazio, in Italia o all’estero (con i treni). E ancora uffici amministrativi, il grande inceneritore dei rifiuti ospedalieri chiuso una decina di anni fa, un depuratore delle acque. Ma nella grande area di proprietà della municipalizzata dei rifiuti a Ponte Malnome, praticamente dirimpetto alla megadiscarica di Malagrotta, c’è anche tanto altro che da tempo angustia i 300 lavoratori che vi operano. E una parte di loro è pronta a scioperare se l’azienda non interverrà prontamente. “Acqua calda che da anni funziona a singhiozzo, così che 4 persone contemporaneamente non possono farsi le docce (a gennaio gli operatori incrociarono le braccia e l’azienda tolse loro un giorno di stipendio salvo poi revocare il provvedimento), peraltro in spogliatoi dove la muffa sui muri è abbastanza evidente- ha raccontato all’agenzia Dire Roberto Meroldi, sindacalista della Cgil e lavoratore a Ponte Malnome- Riscaldamenti spenti dallo scorso inverno e il riavvio sarà un punto interrogativo; centinaia di tonnellate di immondizia (quella della trasferenza) a meno di 50 metri dagli spogliatoi; topi, cani e gatti randagi che, insieme a cormorani, qualche volpe, zanzare e mosche sono ormai di casa all’interno delle mura, mentre immediatamente fuori dal cancello d’ingresso non sorprende più trovare cinghiali che scorrazzano”. “Uno zoo”.

Così lo definiscono spesso tanti lavoratori che hanno coniato anche un’altra espressione per descrivere ciò che vedono ogni giorno a Ponte Malnome: “città bombardata”. Perché questa è l’immagine che associano quando alzano gli occhi e vedono “i milioni di metri cubi di capannoni industriali abbandonati, al punto da sembrare ‘bombardati’. Un capannone è completamente scoperchiato da una decina d’anni quando venne rimosso l’amianto”, ha detto ancora Meroldi. Stabili costruiti tra la fine degli anni 60 e l’inizio dei ’70, “quando qui operavano la Sorain Cecchini e la Sogein dell’avvocato Cerroni prima che tutto passasse nella mani del Comune di Roma- ha ricordato Meroldi- L’Ama non esisteva e della raccolta rifiuti se ne occupava il Servizio Nettezza Urbana del Campidoglio”. Oggi sono “aree colme di ogni tipo di rifiuti, vecchi tubi e raccordi, motori, lastre di ferro, reti elettrosaldate alla mercè di chiunque”.

MEZZI FUORI USO

Appena all’ingresso “il biglietto da visita è rappresentato da alcune decine di mezzi fuori uso che aspettano di essere rottamati- ha continuato Meroldi– L’azienda ne ha dichiarati 32 ma da una stima di chi lavora qui ogni giorno ne risulterebbero almeno il doppio”, ha continuato Meroldi. A questo “cimitero” se ne aggiungono altri tre. “Dentro Ponte Malnome c’è una cinquantina di case mobili frutto dello sgombero di un campo rom in epoca Raggi e ora dimora per sporcizia e topi. A queste vanno aggiunti diversi bagni pubblici dismessi”. Poi, in attesa del riciclo piuttosto che del “fine vita” in acciaieria, anche centinaia di cassonetti in ferro e plastica stoccati nello stabilimento. Sono talmente tanti che “hanno invaso ormai zone dedicate al parcheggio dei mezzi pesanti e occupano l’intera area dei passaggi pedonali, generando di fatto situazioni di incolumità fisica per i lavoratori e anche di frizioni interne”. I problemi di sicurezza non finiscono qui. “Ancora adesso le ruspe e le pale meccaniche lavorano contemporaneamente a quando i mezzi pesanti scaricano i rifiuti nell’area di trasferenza mettendo a rischio l’incolumità dei lavoratori- ha sottolineato Meroldi– Quando un camion si rompe e per la sua manutenzione è necessario svuotare dai rifiuti e lavare il cassone, per svolgere questa operazione preliminare un lavoratore deve entrare da uno sportellino di lato al cassone stesso. Ma in caso di malore non ci sarebbe lo spazio necessario per prestargli soccorso”.

E ancora: “Chi lavora nell’area della trasferenza non ha nemmeno una fontana dove potersi sciacquare gli occhi. Anche in questo caso da tempo abbiamo fatto richiesta di intervento ma nessuna risposta”. Il livello di pulizia ordinaria dei locali viene considerato insufficiente: “L’unica società cui Ama da anni ha affidato il servizio, ha drasticamente ridotto il personale e non garantisce più le pulizie neanche il sabato e la domenica, quando lo stabilimento è aperto tutti i giorni 24 ore su 24. Una situazione che peggiora decisamente la condizione igienico-sanitaria già di per sé precaria”. Per tutta la giornata di ieri si sono susseguite le assemblee dei lavoratori della Cgil. Il centinaio di partecipanti ha dato mandato al sindacato di avviare con l’azienda le procedure per risolvere una volta per tutte la questione dell’acqua calda sanitaria: “Se non ci saranno interventi risolutivi siamo pronti ad arrivare allo sciopero”, ha detto Meroldi. La seconda richiesta è stata quella della “bonifica, e dove necessario della messa in sicurezza, di un’area divenuta una discarica a cielo aperto. Non vogliamo essere più solo spettatori di ciò che gli altri decidono di fare dell’azienda ma protagonisti del futuro di Ama”. La scorsa settimana il segretario della Fp Cgil di Roma e Lazio, Giancarlo Cenciarelli, ha scritto ai vertici dell’Ama avvisando che se i problemi sulle docce dovessero continuare “si procederà ad interessare il competente servizio Pre.Sa.L. e, nelle more, i lavoratori, non avendo garanzia di potersi lavare a fine turno, si asterranno dall’intraprendere qualsiasi attività lavorativa tale da comportare imbrattamento o pericolo di contaminazione biologica”. Quanto invece ai riscaldamenti, il sindacato ha “suggerito” all’azienda di “effettuare, prima dell’approssimarsi del 15 novembre, la prova della messa in marcia degli impianti di riscaldamento di tutti gli spogliatoi e di tutti gli ambienti di lavoro in cui sono previsti (ad esempio gli uffici), al fine di evitare situazioni in cui saremmo costretti a comunicarvi che i lavoratori, stante le vigenti norme sulla sicurezza e salubrità degli ambienti di lavoro, si porranno a disposizione dell’azienda senza intraprendere attività lavorativa”. Pochi giorni dopo la lettera, a Ponte Malnome sono state pressate e portate via diverse decine di cassonetti. 

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