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Il sogno avverato del Milan e l’incubo del Cagliari

Roberto Mercaldo
Il dramma del Cagliari: Salernitana, la salvezza più incredibile nel modo più incredibile
Maggio 23, 2022
Il tecnico del Milan, Stefano Pioli

Un trionfo che parte da lontano, da quella conferma di Pioli chiamato come traghettatore e poi rimasto lì, a comporre il puzzle di un sogno tricolore. Lo scudetto del Milan è un inno alla serenità, uno schiaffo all’isteria del tutto e subito. Il capolavoro rossonero è figlio di programmazione e pazienza, passa persino per scelte impopolari e rinunce dolorose, ma attinge a una profonda saggezza. Si rema tutti dalla stessa parte, con la stessa voglia e la stessa capacità di assorbire i ko. Chi non la pensa così, può accomodarsi dagli sceicchi o ad altre latitudini. Unità d’intenti in un gruppo consapevole delle proprie virtù (tante) e delle proprie debolezze (non così significative).

Dal secondo posto dello scorso anno è arrivata la spinta decisiva per una presa di coscienza di potenzialità assolute in un contesto tricolore che faticava ad indicare squadre guida, in controtendenza col recente passato. Il campionato 2021/22 va alla squadra che lo ha meritato, superando situazioni di disagio legate a qualche risultato negativo e anche ad alcune clamorose sviste arbitrali. La Pioli-band non è il Milan di Sacchi, non ha il talento esagerato di quella squadra delle meraviglie, ma ha l’uomo giusto in ogni reparto. E ha un gruppo granitico, oltreché brillanti alternative ai titolari. Tra i pali si temeva che la partenza di Donnarumma avrebbe prodotto danni tangibili, e invece ecco sbucare Maignan, francese di origini haitiane, un sobrio esponente del ruolo più fascinoso del calcio. Non ruba la scena, non strepita, non si iscrive alla vasta categoria dei portieri guasconi, ma para. Para tutto il parabile come fosse semplice e quando è evidente che semplice non sia, va anche oltre, quasi scusandosi per quella platea carpita con gesto felino. È uno dei 4 moschettieri di sua maestà Stefano, la cui regalità è volutamente taciuta, forse per uno spirito bolscevico che lo pervade, forse perché da giocatore di re ne ha sopportati e supportati fin troppi. Poco più avanti c’è Theo Hernandez, una forza della natura, un vento impetuoso che soffia sulla corsia di competenza e tutto travolge: conduzione del pallone da centrocampista raffinato, capacità di accelerazione da celebrato pistard, tiro in porta e fisicità. Vedi lui e capisci che non sempre i fuoriclasse potano la numero 10. A centrocampo imbastisce, interdice e conclude tal Kessie. Non resterà in rossonero, ma re Stefano non ritiene di doverlo ghettizzare per la scelta, gli accorda fiducia e lui la ripaga con inni all’essenzialità, assist, gol.

Più avanti, il quarto moschettiere, pochi anni, tanti sogni e tanta forza. Quando decide che si prenderà quella linea di fondo, non c’è avversario che sappia impedirglielo, perché Rafael Leao è l’omologo di Hernandez. Dove accelera lui non cresce più l’erba, anche se non è un barbaro assetato di sangue ma un ragazzo educato e dalla faccia perbene. Il suo girone di ritorno è devastante.

Theo Hernandez

Chi pensa che Tomori, Tonali, Giroud e gli altri possano essere relegati a personaggi di contorno, non pensa il giusto. Bravi, bravissimi e costanti, non è colpa loro se in squadra ci son quattro fenomeni. E poi c’è tal Zlatan, che si sente sempre e comunque il migliore, anche se l’anagrafe impertinente prova a contraddirlo. E lui è utile dentro e fuori perché con la vittoria ha flirtato per una vita. Mentre il diavolo celebra il suo diciannovesimo trionfo, c’è una squadra che vive un dramma profondo. Soffre una città, soffre un’isola innamorata del suo Cagliari. Dopo una stagione con valzer di allenatori, arrivi importanti, rinnovi esosi, l’ultimo atto è a Venezia. Thomas Mann e Charles Aznavour ne hanno celebrato la bellezza contrapponendola alla morte, di un anziano sognatore o di un amore affogato nelle sue insufficienti ragioni. Il Cagliari teme le notizie da Salerno più che gli estri della retrocessa “Serenissima”. Invece a Salerno l’Udinese banchetta sui resti di una squadra paralizzata dalla paura. Basterebbe un gol, un solo misero gol, per salvare la A e ricominciare col sorriso, ma il gol non arriva. Piange Cagliari, piange e ripensa a Rombo di Tuono, a Ricky Albertosi, a quello scudetto che somigliava a una rivoluzione. La Sardegna si rialzerà, come sempre, ma oggi.. “que c’est triste Venice”.

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