“Chi governa male non deve essere scelto”. L’intervento del senatore Fazzone alla presentazione della lista viterbese di Forza Italia per le provinciali della Tuscia, ha destato clamore in tutto il Lazio. Soprattutto per il peso delle sue parole riferite all’ente regionale. Il leader di Forza Italia ha lasciato intendere che l’attuale sistema degli enti locali lo convince poco e che di certo non vuole rimanere prigioniero dell’assetto attuale.
GLI ENTI LOCALI E LA RIFORMA BLOCCATA
Fosse per lui, le Regioni non esisterebbero: “Sono fonte di corruzione, concussione, ricatti”. Fazzone ha ricordato quel che disse all’allora presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi quando era in discussione la riforma costituzionale poi bocciata nel referendum. A lui piacerebbe un assetto istituzionale che preveda “deleghe dirette ai Comuni e un dipartimento enti locali in ogni ministero”. In realtà l’unica riforma alle viste è quella che mette in soffitta la legge Delrio ripristinando l’elezione diretta del presidente provinciale. Se ne parla dopo le Europee: “Tra un anno – prevede Fazzone – verrà ripristinato il sistema elettivo delle Province, forse con qualche funzione in più”.
Dove sono finite le elezioni dirette dei consigli provinciali e del presidente della provincia? Il tema sembra sparito dal dibattito politico quando invece fino a pochi mesi fa, soprattutto la Lega, ne aveva fatto un cavallo di battaglia. Tornare all’elezione diretta cancellando la riforma Delrio che portò all’elezione di secondo livello.
Il provvedimento è al momento fermo in Senato e a causa dell’opposizione di Fratelli d’Italia non ci sarà l’abbinamento con le elezioni europee dell’8-9 giugno, come sembrava fino all’autunno scorso. Ragionevolmente, spiegano fonti di governo ai massimi livelli, si andrà alle urne per tutte le province che fanno parte delle regioni a statuto ordinario nella primavera del prossimo anno (2025).
Ma per quale motivo il partito della premier Giorgia Meloni ha imposto uno stop all’abbinamento con le Europee? Ufficialmente per motivi tecnici. Nel senso che a giugno ci saranno le Europee con le preferenze, le Regionali (ad esempio in Piemonte) sempre con le preferenze e in diversi comuni le amministrative, sempre con le preferenze. E siccome il progetto di legge che reintroduce l’elezione diretta dei consigli provinciali e del presidente prevede le province in alcuni casi gli elettori si sarebbero trovati di fronte a quattro schede tutte con la possibilità di esprimere preferenze, generando così confusione negli elettori. Da qui la decisione di accantonare il ritorno all’elezione diretta ma di rinviare il tutto alla primavera del 2025.
L’OBIETTIVO
Che occorra una svolta ormai sono in troppi a pensarlo. Da destra a sinistra. Rafforzare e rendere plurale l’esecutivo con l’istituzione della giunta, correggere le norme sulle durata differente dei mandati tra Presidente e Consiglio provinciale, attribuire alle Province le funzioni di pianificazione strategica sul modello delle città metropolitane: questi sono aspetti da ritenersi qualificanti per la piena operatività delle Province, le cui competenze (dalla scuole, alla viabilità passando per la tutela del territorio e le attività produttive) necessitano di una nuova cornice. Ci sono in gioco da un lato la tutela delle comunità e dei territori, dall’altro la compiutezza della democrazia. La Commissione Affari Costituzionali del Senato che seguirà il DL elezioni è la stessa che da quasi un anno sta lavorando alla revisione delle norme sulle Province con un Testo Unificato che deriva da dieci progetti di legge proposti da maggioranza e opposizione. I senatori sanno bene quanto queste richieste siano sensate e necessarie per iniziare il percorso di riforma e dare voce ai cittadini e risposte ai territori. Dopo aver perso l’occasione importante di riportare le Province al voto in primavera, che almeno il Parlamento non perda quella di disegnare un quadro più efficiente e all’altezza delle esigenze dei cittadini e delle amministrazioni.