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Quando il tifo diventa ideologia: i grandi dualismi

Roberto Mercaldo
Coppi o Bartali, Rivera o Mazzola? I meravigliosi dilemmi dello sport
Aprile 5, 2022
L'iconico passaggio della borraccia tra Coppi e Bartali durante il Tour de France 1952

Nel terzo millennio il numero di individui che pratica una disciplina sportiva, almeno a livello amatoriale, è diventato davvero consistente. Ancor più in verità sono quelli che lo sport lo vivono attraverso le imprese altrui, identificandosi con l’uno o l’altro campione. Le squadre o i singoli atleti “tifati” assumono però importanza differente in ciascun appassionato: c’è il tifoso tiepido, quello viscerale e purtroppo anche quello che rasenta il fanatismo. In certi casi la simpatia per una squadra o un campione dello sport diventa appartenenza, ideologia, modo di essere: una sorta di “status simbol” che attraversa la quotidianità con la forza di un ciclone.

A dare forza a una preferenza sportiva è da sempre, in ogni disciplina, il dualismo. Negli sport di squadra gli esempi sono innumerevoli e a volte implicano divisioni di carattere politico o religioso: basti pensare al derby scozzese fra Celtic e Rangers, rispettivamente anima cattolica e ortodossa della città di Glasgow. Fino a pochi anni fa nel Celtic potevano giocare infatti soltanto atleti la cui appartenenza alla fede cattolica fosse salda. Real Madrid-Barcellona in Spagna, Boca Juniors-River Plate in Argentina o Liverpool-Manchester United in Inghilterra sono sfide dal sapore particolare , quale che sia la consistenza tecnica dei due complessi in un determinato momento storico. Tutti conoscono naturalmente le storiche rivalità calcistiche dello Stivale, dal derby d’Italia Juve-Inter a quelli stracittadini Roma-Lazio, Genoa-Samp, Milan-Inter e Juve-Toro. È però ancor più sorprendente vedere come anche gli sport individuali abbiano creato rivalità straordinarie, dualismi che non consentivano mediazioni o punti di contatto. Restando nei nostri confini, la rivalità che più d’ogni altra ha scritto la storia è quella tra Coppi e Bartali, immensi campioni delle due ruote che si divisero l’amore degli appassionati nella grande epopea del ciclismo. Schivo, quasi ombroso il “Campionissimo”, schietto e ciarliero “Ginettaccio”.

Il toscano ha cinque anni di più, e dal 1934, anno dell’esordio tra i professionisti, mostra qualità purissime che lo rendono indiscusso numero uno d’Italia. Cinque anni più tardi Fausto Coppi si affaccia al ciclismo dei grandi e inizialmente lo fa come gregario di Bartali. Già nel 1940 però vincerà il Giro d’Italia, a poco più di 20 anni, battendo il suo capitano. Coppiani e bartaliani si fronteggiano fieramente da allora fino al 1954, data del ritiro del grande campione toscano, e vivranno in modo epidermico i trionfi e le cadute dell’uno e dell’altro. I due atleti non si ameranno, ma troveranno nel rispetto reciproco la più logica forma di convivenza. Anche il destino scaverà un solco tra i due percorsi di vita: Coppi morirà nel 1960, a soli 41 anni, per una malaria contratta in Alto Volta; Bartali vedrà il terzo millennio e morirà 86enne, ancora idolatrato sulle strade del Giro, col suo immancabile cappellino e la sua frase simbolo “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”.

Molti anni dopo, a cavallo tra gli anni 70 e 80, riecco una rivalità ciclistica capace di dividere l’Italia in due: sono Moser e Saronni i nuovi contendenti e anche in questo caso il più giovane vince un Giro d’Italia a 20 anni. Moser, a differenza di Bartali, dovrà però attendere l’età matura per trionfare in rosa, dopo una carriera da grandissimo interprete delle corse di un giorno, su tutte la Parigi-Roubaix, vinta per tre anni di fila. Nel calcio un grande antagonismo degli anni 60/70 fu invece quello tra Mazzola e Rivera, simboli di Inter e Milan. La loro presunta incompatibilità tecnica portò ai 6 minuti più famosi della storia calcistica: quelli che Valcareggi destinò a Rivera in occasione della finale dei mondiali del 70.

E come tacere del dualismo di stampo pugilistico tra i tifosi di Sandro Mazzinghi e quelli di Nino Benvenuti? Fuori confine ma immortalata dalla macchina da presa ecco la rivalità tra Niki Lauda e James Hunt, che Ron Haward trasforma in “Rush”. Nel tennis, Panatta-Pietrangeli nei nostri confini, Federer-Nadal ad altre latitudini geografiche e tecniche. In atletica leggera un confronto tra stili e modi di essere addirittura non contestuale: Livio Berruti e Pietro Mennea, i nostri ori olimpici dei 200.

Al riparo da esasperazioni e conflitti reali, i dualismi aggiungono sale e magia alle eterne dispute dello sport e dello sport scrivono pagine indimenticabili.

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