Il 5 marzo del 1922 nasceva Pierpaolo Pasolini. Cattolico, comunista e omosessuale, Pasolini fu intellettuale multanime. Una versatilità dalle tinte apparentemente contraddittorie che lo renderanno inviso a chi a quelle categorie apoditticamente apparteneva e tuttora appartiene. Pasolini fu un pensatore anticonformista non per vezzo ma per indole. Capace di intestarsi battaglie in solitaria, con il rischio di isolarsi anche rispetto ai circoli a lui più vicini. Pasolini era Pasolini, marxista eretico e reazionario, comunista antimoderno, populista rurale e spirito religioso ma blasfemo; esteta decadente, parallelo in senso inverso a D’Annunzio.
Oggi è scomodo a sinistra come al centro e a destra, inadattabile all’epoca delle passioni spente e delle ideologie defunte. Politicamente inattuale, Pasolini lo è solo per l’ostentata omosessualità, inclinazione oggi sdoganata dall’ideologia gender fluid. Il poeta bolognese di nascita ma friulano di spirito fu capace di intestarsi battaglie in solitaria, con il rischio di isolarsi anche rispetto ai circoli a lui più vicini. D’altronde Pasolini era un uomo solo ma sorretto da un incrollabile fede verso i suoi ideali, ragione per la quale non temeva il giudizio altrui.
Neppure della giustizia, dinanzi la quale comparve 24 volte. Da atti osceni a corruzione di minore, da vilipendio della religione di Stato a offesa al comune senso del pudore, lo scrittore viene pure accusato di avere compiuto una rapina a mano armata in un distributore di benzina. E non si fermava neppure dinanzi i consigli di chi, Fellini su tutti, gli suggeriva di abbandonare il cinema, magari convincendolo a dedicarsi alla letteratura, alle poesie. Fece bene a ignorare il consiglio dell’amico siccome egli eccelse anche nella settima arte.
Piaccia o meno, i suoi film rappresentano una pietra miliare della cinematografia. Pellicole come «Accattone» o «Mamma Roma» offrono uno spaccato della Roma degli ultimi, dei reietti, di prostitute e papponi, di miserabili e delinquenti. Di ragazzini di strada che tirano a campare con furti e furberie. Una filmografia che si eleva quando tratta temi più spirituali. «Il Vangelo secondo Matteo» è un capolavoro stilistico. La critica cattolica ne diede un giudizio più che positivo.
A metà degli anni ’60 un’altra monumentale opera, «Uccellacci e uccellini», con Totò e Ninetto Davoli. Gli anni ’70 furono molto prolifici per Pasolini. Sono gli anni della «Trilogia della vita»; «Il Decameron», «I racconti di Canterbury» e «Il fiore delle mille e una notte». Ma la macchina da presa non ha mai allontanato Pasolini dalla scrittura: dalla prosa e dalla poesia. In tutti i suoi scritti emerge quell’empatia verso i ripudiati della società, gli emarginati.
Di Pasolini a certa destra anti americanista e allergica al turbocapitalismo, piacque la critica spietata che egli rivolse al ceto neoborghese (memorabili i suoi “Scritti corsari”) accusandolo, senza mezzi termini, di “conformismo presentato come indignazione, cameratismo, coro, gazzarra, ricatto morale, creazione di false tensioni e attese precostituite, demagogia, linciaggio, razzismo, moralismo, disumanità”. Pasolini, comunista dichiarato, amava quella che definiva la “destra divina”. Lottando contro i valori tradizionali e religiosi, notava, i giovani estremisti di sinistra avrebbero reso un servizio enorme al nemico che dicevano di combattere: sgombrando, infatti, il terreno da religione e valori, avrebbero lasciato campo libero al dominio del neocapitalismo, con il suo laicismo, le sue merci e la sua tecnocrazia. Cosa che puntualmente accadde.
Secondo Pasolini “l’unica contestazione globale del presente è il passato” e «solo nella Tradizione è il mio amore”. Non c’è male per uno che veniva (ed era) considerato «de sinistra». «La destra divina è dentro di noi nel sonno” proclamava P.P.P. Assertore del ruolo attivo dell’intellettuale nella società e dell’idea che la cultura debba incidere sulla realtà affermando dei valori, Pasolini si è insomma distinto per la sua instancabile critica nei confronti della società borghese e del suo dio, il consumismo. Pur essendo di orientamento marxista, ha sempre saputo mantenersi libero e indipendente, guadagnandosi la fama di intellettuale scomodo e spingendosi a criticare come nessun altro i movimenti studenteschi del ’68, da lui accusati di essere l’ipocrita espressione dei figli della borghesia che “giocano a fare la rivoluzione con i soldi di papà”. Parole sante.