Ben 30 ristoranti capitolini hanno chiuso i battenti in una sola settimana. Il caro bollette sta facendo pagare lo scotto agli esercenti romani.
Secondo la stima calcolata dalla Federazione italiana degli esercenti pubblici e turistici, (Fiepet Confesercenti) sono stati una trentina almeno solo nell’ultima settimana i ristoranti e i bar costretti a chiudere bottega.
E non si parla di piccole realtà, in ballo ci sono nomi storici del campo della ristorazione come Ulisse, in via Giuseppe Ferrari a Prati, La Fraschetta di via San Francesco a Ripa, a Trastevere. Una vita fatta di sacrifici per la cucina e il buon cibo in ginocchio per i rincari dei costi dell’energia elettrica.L’argomento della crisi che sta invadendo violentemente la ristorazione romana è al centro dell’attenzione anche del Campidoglio. Infatti, l’assessora alle Attività Produttive, Monica Lucarelli ha dichiarato: “Facciamo costanti incontri con le associazioni di categoria per capire come rispondere a questo fenomeno. Roma non può permettersi di far chiudere le sue attività storiche”.
VERSO IL RINCARO DEI MENU’
Gli aumenti dei costi delle materie prime, le bollette di luce e gas e gli affitti, pesano sempre di più sui bilanci dei ristoratori che si vedono costretti a chiudere i propri locali commerciali. I numeri di Confesercenti fanno emergere una condizione spaventosa. L’unica conseguenza per poter andare avanti è ritoccare i menù al rialzo. Così, gustare uno dei piatti tipici della cucina romana come un’amatriciana, una cacio e pepe o una carbonara diventa quasi insostenibile per il cliente.
La Capitale sta pagando ora il prezzo più salato dovuto al caro bollette. Al rientro dalle vacanze estive molti ristoranti e bar non hanno più riaperto. Secondo Fiepet Confesercenti, sono almeno 30 i locali che in questa ultima settimana hanno chiuso la loro porta d’ingresso per sempre.
Ma quello che fa ancora più paura è la previsione suggerita da Claudio Pica – presidente Fiepet Confesercenti Roma – a fine mese: “Potrebbero essere altri 120 ristoranti a rischio di chiusura definitiva”.
Così l’unico modo per poter sopravvivere dei ristoratori è alzare i prezzi dei propri menù. Come spiega Pica: “L’anno scorso solo per i prodotti di un’amatriciana ci volevano 3 euro, oggi ne servono almeno 5.50. Questo significa che in media un cliente, dovrà spendere almeno 12 euro per mangiare un piatto simile”. Ma i rincari non hanno colpito solo i ristoratori. Anche i gelatai sono in ginocchio e anche loro hanno dovuto alzare il prezzo dei propri prodotti. Così un cono piccolo arriva a costare quasi il doppio. Mentre, altri per mantenere lo stesso prezzo dell’anno precedente hanno ridotto le quantità di coni e coppette.