Il dato più preoccupante dei sondaggi che riguardano la Lega è che l’attuale 16% (anche meno) è un valore al di sotto perfino della percentuale delle politiche di quattro anni fa. Con 345 poltrone “tagliate” vuol dire un’ecatombe di seggi parlamentari. Si spiega anche così l’esodo dal Carroccio, specialmente in direzione Fratelli d’Italia. Ma nel partito si fa finta di nulla, specialmente nel Lazio, dove i malumori e gli addii sono sempre di più. Dal senatore William De Vecchis (passato a Italexit di Paragone) al consigliere regionale Laura Corrotti (entrata in Fratelli d’Italia).
Salvini ora guarda al centro attratto dalle sirene berlusconiane
“Prima l’Italia”: è il nome del nuovo contenitore che dovrebbe raccogliere i moderati insieme a quel che resta della Lega di Matteo Salvini. Il Capitano ha deciso di fidarsi del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, dei centristi e degli ex democristiani come Lorenzo Cesa. In un articolo pubblicato sull’ultimo numero del settimanale L’Espresso si legge quello che ormai da mesi è evidente a tutti: “Così, prima del voto delle politiche del 2023 e su suggerimento dei suoi nuovi gran consiglieri, Denis Verdini, Marcello Dell’Utri e la vecchia guardia forzista guidata da Licia Ronzulli, ha lanciato il nuovo movimento Prima l’Italia: una sorta di Partito delle libertà 2.0”. Ma solo nella versione grafica, aggiungiamo noi: campo azzurro e spruzzata tricolore. Matteo Salvini è preoccupato e si vede: la ragnatela degli ex democristiani potrebbe rappresentare il colpo di grazia alla Lega che sognava di espandersi al sud. La fine della dizione “Lega-Per Salvini premier”. A quel punto il Nord si riprenderebbe il Carroccio. Il malcontento (paziente) di Giancarlo Giorgetti, Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Roberto Castelli guarda perfino ai riti dei tempi di Umberto Bossi: primo fra tutti l’ampolla del Po. L’Espresso racconta che “nella Lega nel frattempo c’è un affollato balcone di dirigenti che sta a guardare per vedere il fallimento di Salvini e riprendersi il partito”.
Il povero Claudio Durigon non riesce a mettere una pezza al calo di consenso del leader
Il 5,9% raccolto dalla Lega alle comunali di Roma ha rappresentato il punto di non ritorno nel Lazio.
Claudio Durigon sta facendo quello che può me è evidente a tutti che le responsabilità sono tutte in una leadership, quella di Matteo Salvini, che ha perso completamente il collante ideale con il proprio elettorato. Salvini per un certo periodo di tempo è stato, più che un capo politico, uno straordinario influencer entrato in una sintonia totale con i propri follower-elettori. Smarrita la sintonia, causa decisioni a dir poco azzardate, l’influencer ha preso una strada (costellata di disastri decisionali) e i suoi seguaci un’altra e ad oggi sembra difficile possano incontrarsi per una seconda occasione. Che in politica non capita quasi mai (vedi Renzi).
Adesso nel Lazio tanti leghisti, da Sabaudia a Viterbo, sono andati via criticando aspramente non soltanto la gestione del partito ma anche la cronica assenza di risultati nei territori. Dove molti dirigenti della Lega non hanno quell’esperienza politica ed elettorale che serve ad un partito per radicarsi. In Ciociaria c’è la consegna del silenzio, che però non copre il fragore della preoccupazione. I deputati Francesco Zicchieri e Francesca Gerardi hanno capito benissimo che sarà un’impresa ai limiti dell’impossibile ottenere una ricandidatura alle elezioni. Altro che conferma del seggio. Stesso discorso per il senatore Gianfranco Rufa. Perfino il consigliere regionale Pasquale Ciacciarelli non nasconde i dubbi e ricomincia a guardare (non ha mai smesso in realtà) nella direzione del suo mentore Mario Abbruzzese. Il coordinatore provinciale Nicola Ottaviani ha rinunciato a convocare gli organismi dirigenti: ha fiutato l’aria e preferisce evitare sul nascere brutte figure. I tempi delle adunate oceaniche a prova di selfie sono finiti per sempre. La linea politica è scomparsa. L’unica che si vede chiaramente è quella alla Provincia: due consiglieri leghisti con deleghe affidate direttamente da Antonio Pompeo (Pd): Luca Zaccari (vicino a Ciacciarelli) e Andrea Amata (che ha Ottaviani come riferimento). Come se non bastasse, due presidenze di commissione: ancora ad Andrea Amata e poi a Gianluca Quadrini (voluto in lista da Francesca Gerardi). E l’appartenenza al centrodestra? Sembra essere diventata un optional.
Anche Nicola Ottaviani fa quel che può. Ma ha capito che non esistono prospettive…
Alle comunali di Frosinone Nicola Ottaviani cercherà sicuramente un risultato importante per la lista della Lega, ma, ammesso che ci sia, non sarà questo a fare la differenza né sul piano delle candidature parlamentari né sul peso dei territori nel Carroccio. Non farà la differenza perché, dopo le prossime amministrative, a contare sarà soltanto il risultato generale. La Lega si è persa, questa è la dura verità. Alle comunali di Frosinone, intanto, si è riaffacciato l’eterno Mario Abbruzzese, il quale con il Carroccio ha un rapporto particolare: è stato lui a far eleggere Pasquale Ciacciarelli. Ma pensare che possa essere l’ex presidente del Consiglio regionale, alle prese con tutte le incognite del difficile decollo del nuovo centro di Toti e Mastella, è solo fantapolitica. A Frosinone Mario Abbruzzese, insieme a Pasquale Ciacciarelli, sta costruendo una lista civica. Sembra che gli stia dando una mano anche Nicola Ottaviani, mettendo dei candidati di riferimento. Non si sa mai quello che potrebbe succedere tra qualche mese nella Lega. Però tutti sanno già che se Giorgetti, Zaia e Fedriga si prenderanno il partito, per i fedelissimi Salvini, specialmente nel centrosud, gli spazi sarebbero ridotti al lumicino.