Non si sono mai accorti che stava arrivando. Ora, più di qualcuno tra gli scettici della prima della seconda e della terza ora, dovrà prendere atto che Massimo Ruspandini, dopo una lunghissima e solitaria cavalcata nel deserto, ha quasi completato la sua rivoluzione silenziosa, pragmatica e dal basso profilo con la quale in questi anni ha letteralmente rimosso un’intera classe politica portando i suoi uomini ed i suoi amministratori al vertice di molti comuni, al Consiglio regionale ed infine alla guida dei più importanti enti intermedi del nostro territorio.
Senza fare guerre, senza proclami di sorta, senza intenti vendicativi. Semplicemente, e non sembri retorica di basso cabotaggio, per la sua gente.
Perchè l’obiettivo della politica e dell’impegno di Massimo Ruspandini è stato sempre quello di offrire al suo popolo qualcosa di nuovo, di diverso, di migliore di quello che gli era stato proposto prima. Senza voli pindarici ma con la concretezza a volte eccessivamente disincantata di chi, per primo, non crede ai miracoli. Nella vita e nella politica.
Prima ancora della travolgente ondata che con Roberto Caligiore a Ceccano travolse la Stalingrado ciociara (frutto al 90% della sua forza, della sua ostinazione e di una incredibile caparbietà) l’esperienza a Piazza Gramsci da assessore al Turismo aveva consacrato Ruspandini come il più brillante e dinamico tra le giovani leve di Alleanza Nazionale.
Con lui la Provincia ebbe un marchio, con lui si comincio a parlare di mura megalitiche e si intraprese la strada di un sostegno significativo al Frosinone Calcio che in quegli anni era ai primi passi della straordinaria scalata che poi lo ha visto protagonista nel calcio italiano. Anche allora però, quelli bravi, quelli che di “politica” sanno tutto, non lo videro arrivare.
Ma non lo videro arrivare nemmeno nel 2018 quando ottenne la candidatura al Senato centrando l’obiettivo senza scossoni mentre sappiamo come andò a finire lo stesso giorno a Cassino nel collegio “blindatissimo” di Mario Abbruzzese.
E nemmeno nel settembre del 2022 quando venne rieletto alla Camera con la percentuale di consensi più alta di tutta la Regione. Dopo aver contribuito in maniera decisiva qualche mese prima alla vittoria di Riccardo Mastrangeli il quale fu abilissimo nel capire che senza l’alleanza con Ruspandini e con Fabio Tagliaferri avrebbe favorito il ritorno nel capoluogo di un’amministrazione di centrosinistra.
E poi non lo hanno visto arrivare quando ha costruito, tra il solito scetticismo, il progetto che ha portato Daniele Maura in consiglio regionale, nel 2023, primo degli eletti con oltre 12.000 preferenze e quando pochi giorni prima di Natale, in Consiglio Provinciale, ha eletto con Fratelli d’Italia, tre consiglieri su tre della sua area di riferimento.
Ruspandini, altro che Elly Schlein, ha costruito il suo successo nel “non farsi vedere nella corsa di quelli forti, belli e vincenti” ma incidendo nel lavoro certosino sul territorio. Che significa meno cene con “quelli che contano” a Roma e in giro per l’Italia e ricerca costante dell’allargamento di una comunità che è comunità per davvero e non il comodo poltronificio costruito negli anni in altre parrocchie più o meno note. A destra e a sinistra.
Piaccia o no ora a dare le carte in provincia, intesa come territorio, sarà lui. Capace di tenere insieme un partito imponendo la barra dritta del merito e della competenza.
Così è stato alla Saf dove le regole del gioco obbligavano a una convivenza con il Pd ed è riuscito a imporre un manager affidabile come Fabio De Angelis.
Così è stato per il Consorzio Industriale del Lazio. L’avamposto più strategico e importante dell’intera Regione Lazio. Che i soliti, quelli bravi, quelli che non si accorgono degli altri che ti arrivano da dietro, davano già in quota alle solite “cricchette” romane. Quelle “cricchette” che hanno sempre governato il Lazio ignare delle istanze ma anche delle “ricchezze” e delle opportunità poste fuori dalla cerchia del grande raccordo della Capitale.
Quei cenacoli che questo gioco lo hanno sempre fatto grazie alla decisiva complicità dei “nostri”. Eletti qui e pronti a svendere il territorio per mezzo strapuntino di potere in più. Sulla battaglia per il Consorzio, Ruspandini, senza farsi notare ha giocato tutte le sue “fiches”. Le ha piazzate sul tavolo verde tra la sorpresa generale. Tutti hanno intuito che non era il momento del “bluff”. E ha fatto capire a tutti che con l’asset più importante del Lazio nessuno avrebbe potuto permettersi di giocare.
Alla fine grazie al lucido ragionamento del presidente Francesco Rocca, sostenuto dai vertici regionali del partito e dall’assessore Roberta Angelilli, efficacemente affiancato da Daniele Maura, ha raggiunto l’obiettivo. Con una scelta, quella di Raffele Trequattrini, effettuata nel segno della competenza, della capacità e del merito. Anche per questo, per l’ennesima volta, quell’underdog di Ruspandini, nessuno l’ha visto arrivare. E forse, alla fine, è meglio così.