Ha parato tutto, meno la nostalgia. Quella ha violato la porta del suo cuore e lo ha trasportato verso un over-time inusuale. E così Gianluigi Buffon, per il mondo Gigi, professione portiere, ha smesso a 45 anni, un’età insolita, anche per un ruolo che ha nella longevità più la regola che l’eccezione.
Gianluigi da Carrara, figlio di sportivi praticanti l’atletica leggera e parente non troppo stretto del famoso portiere degli anni 60, aveva nel dna il suo destino. Era scritto nei nucleotidi che dovesse eccellere in qualche disciplina sportiva e non fu molto originale nella scelta, perché in Italia se hai doti fisiche la prima cosa che ti viene in mente è provare a trasformarle in virtù pedatorie.
La sua esperienza da giocatore di movimento fu breve e presto comprese che il suo istinto, i suoi riflessi felini e il paradigma di una fisicità prorompente avrebbero trovato espressione compiuta dalle parti della fatidica linea bianca.
Un ruolo particolare, che si presta a componimenti poetici, a elegie e sonetti, ma ti lascia spesso solo, coi pensieri che vagano incontrollati e anarchici.
A volte son diventati ingombranti quei pensieri, così ingombranti da scaturire in una depressione. Gigi Buffon, il miglior portiere del mondo, ha intercettato anche quella, mandandola via come fosse un pallone all’incrocio.
UNA CARRIERA INIMITABILE
Il ragazzino del Parma era già un fenomeno, un ordigno che esplodeva su ogni intenzione malevola degli attaccanti.
Un diamante grezzo, secondo taluni, perché a volte quegli estri così visibili inciampavano in un’improvvisa distrazione.
Vero, ma il portiere perfetto non esiste, c’è sempre un’approssimazione obbligatoria: il fenomeno può solo provare a limitarla, a renderla residuale come la terza cifra dopo una virgola.
Nel Parma Gianluigi, alto e scattante, non troppo simile a Zoff e nemmeno al suo idolo Nkono, un Albertosi dei tempi moderni, mette comunque tutti d’accordo. Non ce sono di così bravi, lo pensa anche la Juve e lui va a Torino per una cifra record.
E i record diventano i suoi compagni di viaggio, un viaggio che si fa scomodo quando Calciopoli gli toglie due titoli e gli consegna l’interrogativo più impervio.
Lui sposa la Signora anche in B per una fedeltà che sarà quasi eterna, perché l’esperienza francese è una licenza poetica e Parma soltanto il ritorno ad Itaca.
Solcando i mari in bianconero l’Ulisse della porta conquista tutto, però la malefica Circe gli lascia i compagni, fuor di metafora scudetti, record d’imbattibilità e coppe nazionali, sottraendogli il sogno, la Coppa più ambita.
Tre volte l’accarezza e, non certo per sua colpa, tre volte la vede svanire in modo beffardo.
Contro il Milan non bastano due rigori parati e un miracolo su Inzaghi nei 120’ di gioco. Barca e Real illudono e poi debordano, come una piena maligna e portatrice di angosce.
Secondo nel Pallone d’Oro nell’anno in cui ha riportato l’Italia sul tetto del mondo, Buffon è anche il portiere azzurro più importante della storia, a pari merito con Zoff, friulano taciturno, così diverso e così uguale.
Entrambi campioni del mondo e applauditi anche dalle curve avversarie, che per il costume italico è qualcosa di straordinario e irripetibile. Entrambi associati al concetto di grandezza in modo indissolubile, alla grandezza legati come i versi con la rima.
Buffon deflagra, Zoff regala certezze, in una dicotomia del gesto che è alfa ed omega.
Sui social l’annuncio: “Finisce qua. Mi hai dato tutto, ti ho dato tutto. Abbiamo vinto insieme”.
Ora c’è da parare la quotidianità, ma Gianluigi Buffon non si spaventa. Ha solcato mari in tempesta, ha fermato Messi, Cr7, Zidane. Ha una bacheca piena e un cuore grande. Qua la mano, superGigi!