Giorgia Meloni che stoppa Matteo Salvini sull’indicazione dei principali ministri prima dell’esito elettorale, Alessandro Di Battista che dà dell’arrivista a Luigi Di Maio, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli che frenano sull’alleanza con Enrico Letta e guardano al “polo rosso” con Giuseppe Conte (come se Conte fosse un fervente bolscevico).
Grande è la confusione sotto il cielo della politica. Una costante. Quindi, perché meravigliarsi?
I dati però sono due. Nel centrodestra, soprattutto in Forza Italia, continuano i silenzi e le risposte sibilline sulla regola che il partito che prende più voti debba poi indicare il premier, come è sempre stato. Si fa un incessante (e urticante) riferimento alla circostanza che la somma dei parlamentari di Lega e Forza Italia potrebbe essere maggiore di quelli di Fratelli d’Italia. Giorgia Meloni non ci sta a fare finta di nulla e ha deciso di rispondere colpo su colpo. Perciò niente ministri indicati prima. Perché mai?
Nel centrosinistra invece l’asse di ferro del Pd con Azione ha innescato una serie di reazioni a catena. Con la conseguenza che potrebbe concretizzarsi il rischio di perdere pezzi e voti. Un classico.
LA PROVA DEL NOVE DEL PD NEL LAZIO
Riuscirà, ma soprattutto (a questo punto) vorrà il Partito Democratico dare candidature eleggibili ai referenti più importanti delle province laziali? In altre parole: Frosinone, Latina, Viterbo e Rieti avranno la possibilità di schierare esponenti in grado davvero di diventare deputati o senatori? Non è scontato: non lo era prima, lo è ancora di meno adesso. L’intesa con Azione prevede il 30% delle candidature nei collegi uninominali al partito dell’europarlamentare Calenda (carica alla quale è stato eletto nel Pd, ma nessuno lo ricorda). Significa tanti posti in meno per i Democrat, specialmente nei collegi dei municipi di Roma. Il che, unito al drastico taglio dei seggi, riduce ambizioni, speranze e specialmente spazi eleggibili. Anche perché prima vengono i romani: Nicola Zingaretti, Cecilia D’Elia, Claudio Mancini, Bruno Astorre, Roberto Morassut, Beatrice Lorenzin, Marianna Madia, Michela De Biase, Marta Leonori, Patrizia Prestipino, Marco Vincenzi, Massimiliano Valeriani. E, ne siamo sicuri, due su tre fra Enrico Gasbarra, Alessio D’Amato e Daniele Leodori (per evitare le primarie sul tema della scelta del candidato alla presidenza della Regione).
Non è finita, perché il “diritto di tribuna” che Letta vuole garantire ai principali alleati potrebbe sottrarre ulteriori collegi al Pd. Luigi Di Maio potrebbe essere candidato nel Lazio, per esempio. Guardando alle province di Latina e Frosinone, le stesse sono considerate perse dal centrosinistra per quanto concerne i quattro collegi maggioritari, tre alla Camera e uno al Senato. Secondo lo studio dell’Istituto Cattaneo sono roccaforti inespugnabili del centrodestra. Significa che il Pd dovrà per forza puntare sul proporzionale e con tutti quei big romani da garantire, ci saranno davvero caselle eleggibili per chi nelle province tira la carretta da decenni tenendo alta la bandiera? Due nomi su tutti: Francesco De Angelis ed Enrico Forte.
Se alla fine, ancora una volta, il Partito Democratico preferirà “colonizzare” i collegi delle province con i big romani, la conclusione non potrà che essere che il disimpegno. A patto che la classe dirigente locale sappia tirare fuori gli attributi e il coraggio per ribellarsi ad uno stato di cose inaccettabile. A Roma si preoccupano di blindare i romani. Stavolta questo atteggiamento finirebbe con il penalizzare moltissimo anche la successiva partita, quella delle regionali. Nicola Zingaretti avrebbe dovuto farsi già sentire, sia con Enrico Letta, sia con i segretari provinciali delle federazioni. Non lo ha fatto perché perfino lui è completamente e profondamente immerso nella logica del “prima i romani”. Che poi somiglia molto a quella del marchese del Grillo: “Perché io sono io e voi non siete un… bip”.
OPPOSIZIONE SUBITO SPARITA (COME SEMPRE)
Alla seduta del consiglio comunale di Frosinone ieri erano presenti 4 esponenti su 11 delle opposizioni: Andrea Turriziani (Lista Marini), Francesca Campagiorni e Claudio Caparrelli (Polo Civico), Vincenzo Iacovissi (Psi). Non conta nulla se gli assenti fossero o meno giustificati. Siamo al secondo appuntamento di un’aula fresca di elezione. Il centrosinistra, dopo aver promesso un’opposizione attenta, costruttiva, dura, inflessibile e partecipata… si è sciolta. Tornando alla consiliatura scorsa, quando non è mai riuscita a mettere in difficoltà la maggioranza di centrodestra. Soprattutto per le assenze sistematiche e ripetute in aula e per l’incapacità di avere una linea condivisa da portare avanti. Con queste premesse il centrodestra prenoterà presto la quarta vittoria consecutiva, con opzione sulla quinta. All’ordine del giorno c’erano argomenti importanti come l’assestamento di bilancio, la relazione del sindaco Riccardo Mastrangeli sullo stato dei contenziosi relativi all’appalto della Monti Lepini e i soliti debiti fuori bilancio. L’assessore ai servizi sociali Fabio Tagliaferri ha voluto ricordare che ancora una volta l’ente si trova a sborsare una somma non indifferente per gli errori commessi da altre Amministrazioni, quelle di centrosinistra. I pochi presenti nei banchi della minoranza hanno protestato, ma si tratta di un dato storico che non può non essere ricordato. In ogni caso gli assenti hanno sempre torto.
L’elezione a consigliere comunale non avviene per rispettare un “fioretto” o perché c’è una prescrizione di tipo medico. Avviene perché si decide di candidarsi ad amministratore della propria comunità, sia in maggioranza che all’opposizione. Non è obbligatorio quindi. Ma, una volta ottenuto, il ruolo va onorato. Altrimenti meglio dimettersi subito e lasciare spazio a chi non ha problemi a rimandare di un giorno le ferie oppure a tornare dalle vacanze. A ben pensarci però è proprio questo atteggiamento che condanna il centrosinistra alla sconfitta da ormai tre elezioni. In più di dieci anni non si è visto uno straccio di programma amministrativo alternativo. Per la cronaca la seduta di ieri è durata una trentina di minuti. Riccardo Mastrangeli sorrideva sotto i baffi che non ha.