Sono passati 42 giorni dal sì di Domenico Marzi alla candidatura a sindaco di Frosinone alla guida del Campo largo. Da allora nessuna risposta da parte del Movimento Cinque Stelle, ma non tanto a Marzi e neppure a Francesco De Angelis. Nessuna risposta a Nicola Zingaretti, Daniele Leodori e Bruno Astorre, l’asse portante del Pd nel Lazio, quelli che hanno fatto partire l’intera operazione politica proprio per tenere dentro i Cinque Stelle. Ma per i Dem vale la pena restare appesi alle scelte dei pentastellati?
Ai piedi dei cinque stelle: la storia si ripete, dalla Regione al Comune
Convinti da sempre della necessità di un’alleanza con i Cinque Stelle per vincere nel Lazio sono Nicola Zingaretti e Bruno Astorre. In parte anche Daniele Leodori. Per questo il Governatore ha voluto in giunta Roberta Lombardi e Valentina Corrado. Ma quanto valgono oggi i Cinque Stelle nel Lazio? Certamente non come nel 2013 e nel 2018. Inoltre rappresentano un ostacolo insuperabile per sperimentare altre formule di centrosinistra. Per esempio un accordo del Pd con Carlo Calenda. Il leader di Azione non farà parte di alcuna alleanza nella quale ci siano pure i Cinque Stelle. Per Zingaretti però il Movimento è imprescindibile.
I tempi sono cambiati profondamente rispetto al 2013 e al 2018. Nel 2013 il candidato alla presidenza della Regione Davide Barillari prese 661.865 voti (20,22%), la lista dei pentastellati 467.249 (16,64%). Nel 2018 Roberta Lombardi arrivò a 835.137 preferenze (26,99%), la lista a 569.752 (22,06%). Il gap tra candidato e lista c’è sempre stato perché il voto del Movimento è di opinione, senza alcun radicamento nei territori. Concorrere in coalizione, senza un proprio candidato alla presidenza e con gli attuali sondaggi, penalizzerà ulteriormente il Movimento Cinque Stelle.
Inoltre, in tantissimi sono andati via: dalla Regione ai Comuni. Carlo Calenda un segnale lo aveva lanciato, dicendosi pronto ad appoggiare Alessio D’Amato alle primarie del centrosinistra. Nessuna risposta. Forse perché le primarie appaiono più lontane, forse perché D’Amato non sembra avere più la forza politica di qualche mese fa, forse perché Daniele Leodori ha imposto già la sua linea. Fatto sta che il Pd regionale ha chiuso le porte a Carlo Calenda. La priorità è il Campo largo con i Cinque Stelle, che a Frosinone hanno chiesto e ottenuto il ritiro del sostegno dei Democrat alla candidatura a sindaco di Mauro Vicano.
Ma quanto valgono elettoralmente nel capoluogo ciociaro? Nel 2012 la candidata a sindaco Enrica Segneri prese 671 voti (2,34%), la lista 375 (1,36%). Nel 2017 Christian Bellincampi arrivò al 7,04% (1.884 voti), la lista a 5,87% (1.523). Gap evidente anche in questo caso tra lista e candidato. Nel frattempo Bellincampi e l’altro consigliere Marco Mastronardi sono andati via. Quanto può valere la lista dei Cinque Stelle elettoralmente a Frosinone senza candidato sindaco? Ammesso che riescano a presentarla, la lista. Cosa sta aspettando dunque il Pd? Sta aspettando una risposta che serve a non pregiudicare l’alleanza regionale, a sua volta difficile da giudicare sul piano dei voti.
Tra Pompeo e la terza volta i tempi (molto, molto incerti) di una riforma che non è ancora in cantiere
Antonio Pompeo termina il mandato da sindaco di Ferentino nella primavera del 2023. Per quella data spera che il Parlamento abbia approvato la proposta che consente anche ai sindaci dei Comuni più grandi di poter concorrere per il terzo mandato (evocata nei giorni scorsi da un articolo del Corriere della Sera ma ancora lontana dall’essere messa in cantiere nei lavori parlamentari). Operazione non semplice ma possibile per il semplice fatto che tantissimi primi cittadini di Comuni importanti (Bari, Bergamo, Firenze) rischiano di arrivare a fine corsa senza alcuna prospettiva futura per via dei 345 seggi parlamentari in meno. Effetto della riforma “iperpopulista” voluta dai Cinque Stelle. Se ci sarà il sì al terzo mandato, Antonio Pompeo si
ricandiderà a sindaco di Ferentino. Rimanderà di cinque anni la possibile corsa al consiglio regionale, accertandosi che nel frattempo possa provare a restare in sella anche come presidente della Provincia. Cosa questa assai più improbabile perché, oltre al terzo mandato, la riforma del Testo unico degli enti locali dovrebbe prevedere pure il superamento della disposizione che stabilisce che i sindaci con meno di diciotto mesi di mandato non possono candidarsi alla presidenza della Provincia. Una fattispecie nella quale rientra pure Pompeo: il mandato da presidente scade il 31 ottobre.
Stando alle informazioni di Politica7 di questa doppia riforma ancora non esiste traccia nè a Palazzo Chigi (dove dovrebbe essere presentata dal Ministro Lamorgese) nè nel calendario dei lavori parlamentari. Quindi, se le elezioni non si fanno prima del 24 novembre, anche Pompeo sarebbe tagliato fuori.. Intanto a Ferentino sta blindando la sua maggioranza per cercare di mettere all’angolo i “ribelli” di Ferentino nel Cuore di Luigi Vittori, tra i quali ci sono Piergianni Fiorletta e Alessandro Rea.
Pompeo sta giocando a tutto campo: accordo con l’ex avversario Giuseppe Virgili, segnali di fumo a Franco Collalti. Per non parlare della Provincia: delega alla presidenza del consiglio a Luca Zaccari, mano tesa alla Lega per le presidenze delle commissioni. Una strategia studiata a tavolino: Antonio Pompeo sa che è la carica di sindaco di Ferentino quella centrale. In questi mesi alcuni nomi per la successione sono circolati: Marco Di Torrice, Angelica Schietroma, Claudio Pizzotti. Senza mai accelerare però. Prima bisogna vedere se ci sarà la possibilità del terzo mandato.