Sara Battisti chiede la convocazione della commissione regionale allo sviluppo (presieduta da Enrico Tiero) “per affrontare le criticità legate alla deindustrializzazione della provincia di Frosinone”. Sollecitando di coinvolgere “tutti i soggetti istituzionali, le sigle sindacali e le associazioni di categoria per una discussione collettiva per azioni sinergiche di contrasto al fenomeno e relativi progetti di sviluppo e innovazione”. Si tratta di un tentativo di depotenziare l’iniziativa del presidente della Provincia Luca Di Stefano, che ha già fissato per il 28 settembre la data degli Stati Generali della Ciociaria. Sullo stesso tema, con gli stessi invitati.
Perfino con Francesco Rocca, presidente della Regione Lazio. Lo scorso dicembre Sara Battisti festeggiava l’elezione a presidente della Provincia di Luca Di Stefano. Il quale gli impegni politici con il Pd di Francesco De Angelis li ha mantenuti tutti: dal sostegno alla Battisti alle regionali (decisivo per arrivare davanti ad Antonio Pompeo) alla nomina di Adriano Lampazzi al vertice dell’Agenzia di Formazione. Di Stefano però non è un militante o un iscritto del Pd, mantiene orgogliosamente la sua posizione civica, ha allargato a tutte le forze politiche. Ma soprattutto si confronta con il Governatore Rocca per un motivo semplice: è la Regione l’ente principale di riferimento su tematiche come il servizio idrico, i rifiuti, le politiche industriali sul territorio.
A Sara Battisti evidentemente non sta bene e cerca di “scavalcare” Di Stefano. Il quale però andrà avanti per la sua strada. Forse però c’è un altro elemento: come avvenuto sulla sanità, Sara Battisti prova costantemente a lasciare il cerino in mano al centrodestra che governa la Regione Lazio. Per questo chiede la convocazione della commissione. Evidentemente ha rimosso dalla memoria politica che il Pd ha guidato dieci anni il Lazio. Le situazioni di oggi, comprese le difficoltà delle aziende ciociare, derivano dalle (non) scelte del Governo Zingaretti. Ricordate la riperimetrazione del Sin? Sicuramente Francesco Rocca lo ricorderà. Alla riunione degli Stati Generali convocati da Luca Di Stefano, adesso più determinato che mai a schivare il tentativo di sgambetto della consigliera regionale del Pd.
LA NARRAZIONE SUL SALARIO MINIMO
Nell’incontro di qualche giorno fa con le opposizioni il presidente del consiglio Giorgia Meloni aveva di fronte i seguenti esponenti politici (in ordine alfabetico perché è così che hanno esposto le loro posizioni): Carlo Calenda (Azione), Nunzia Catalfo e Giuseppe Conte (Movimento Cinque Stelle), Benedetto Della Vedova (+Europa), Eleonora Evi (Verdi), Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana), Maria Cecilia Guerra (Pd), Riccardo Magi (+Europa), Franco Mari (Sinistra Italiana), Matteo Richetti (Azione), Elly Schlein (Pd) e Luana Zanella (Verdi). La “narrazione” dominante è stata che il Governo non ha proposte e che l’opposizione era unita. In realtà Giorgia Meloni ha dato un termine di due mesi per arrivare ad una soluzione seria sul lavoro, sui salari e sulla politica dei redditi. Coinvolgendo il Cnel (Consiglio nazionale di economia e lavoro) che fa questo di mestiere. Il fatto che lo presieda Renato Brunetta non c’entra nulla. Si è detto che le opposizioni erano unite. Sicuramente “contro” il Governo Meloni. Perché a sentire le dichiarazioni di Elly Schlein, Giuseppe Conte e Carlo Calenda non è sembrato proprio. Sul tema specifico del salario minimo Giorgia Meloni ha più volte ripetuto che non la ritiene una misura in grado di contrastare la povertà. Però restiamo all’incontro. Qualcuno pensava che potesse uscire da un primo confronto una soluzione condivisa e votabile subito? No. In realtà il percorso è proprio quello di un arco temporale entro il quale approfondire le varie questioni per poi arrivare ad una soluzione.
Ma le opposizioni non sono unite (basta vedere la quantità di sigle e le diversità di impostazione). Inoltre, ed è questo l’aspetto più importante, non c’è alcuna piattaforma all’interno della quale il centrodestra e il centrosinistra possono incontrarsi. Men che meno sul lavoro. Siamo già nella lunghissima campagna elettorale che porterà alle europee del 9 giugno 2024.
Lo si è capito anche dall’intervento del vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini a Forte dei Marmi, quando ha assicurato il suo impegno per la reintroduzione dell’elezione diretta di presidente e consiglieri delle Province. Tornando per l’ennesima volta sul fatto (evidente) che questi enti si occupano anche di manutenzione di strade e di scuole. Le Province torneranno alla fase antecedente alla Del Rio, ma non nel 2024. Non ci sono i tempi. Un disegno di legge unificato (ha riassunto otto proposte) è in discussione in Parlamento. C’è una larghissima volontà politica di riportare questi enti a come erano un tempo. A parte il Movimento Cinque Stelle, tutti gli altri principali partiti sono d’accordo. Un’operazione del genere però ha dei costi: le Province hanno bisogno di personale e di risorse per riprendere il discorso interrotto quasi dieci anni fa. C’è la necessità di riprevedere le indennità di presidenti, assessori e consiglieri dopo l’ondata demagogica alimentata dal “grillismo”. Inoltre occorre una sintesi politica sulle regole, sui sistemi elettorali, sui collegi e su tutto il resto. L’anno giusto è il 2025, però Matteo Salvini non ha resistito al comizio a Forte dei Marmi perché pure lui sta già pensando alle elezioni europee del 2024.
La Provincia di Frosinone ha mantenuto costantemente un ruolo riconosciuto e autorevole, grazie all’operato di Antonio Pompeo prima e di Luca Di Stefano dopo. In questi mesi Di Stefano è riuscito a mettere a segno risultati importanti: sul tema della gestione delle risorse idriche e dei rifiuti, favorendo una soluzione operativa per la guida della Saf. Sarà interessante vedere cosa succederà quando alla Provincia tornerà a votarsi direttamente. La Lega farà parte del centrodestra accettando la leadership di Fratelli d’Italia?