Raccontare lo sport è un privilegio, una missione, un’avventura e tante altre cose ancora. Le dinamiche di un evento agonistico si prestano a svariate forme interpretative, ma per svolgere al meglio il delicato compito c’è un elemento imprescindibile: la passione.
E in Francesca Spaziani Testa, frusinate, apprezzata voce e grazioso volto di RaiSport, la passione per gli eventi agonistici è un elemento così naturale da rendere persino complessa la ricerca dell’origine.
“Non so dirti quando sia nata, perché ha accompagnato la mia esistenza in modo spontaneo, quasi fosse una necessità del mio spirito. Mi ricordo bambina, alle prese con le cassette VHS contenenti immagini e racconti dei campionati di calcio. La mia famiglia ha contribuito in modo determinante, perché ricordo con quanta partecipazione mia nonna paterna leggesse, anche in una fase matura della propria vita, i quotidiani sportivi e come partecipasse emotivamente alle vicende calcistiche. Non ho ricordi che non siano in qualche modo legati allo sport e in particolare al calcio. Diciamo in sintesi che è nel mio dna”.
È un mestiere bello è complesso, perché coniugare passione e le indispensabili terzietà ed obiettività può non essere semplice…
“Anche in questo caso ritengo che si tratti di un elemento connaturato alla scelta. Chi per mestiere racconta il calcio ha il dovere di farlo in modo obiettivo. Il segreto è molto semplice e si chiama professionalità. C’è un solo modo di svolgere questo lavoro. Poi lontano dalle telecamere ciascuno può avere preferenze, ma quello è un altro contesto”.
Giornalista sportiva in Rai significa percorrere un sentiero che ha avuto orme mitiche: quelle di Paolo Valenti, Maurizio Barendson, Nando Martellini e di altri giganti dell’informazione. Quanto pesa e quanto inorgoglisce?
“Diciamo anzitutto che i tempi sono cambiati. Queste figure di grandi professionisti entravano nelle case degli italiani e per l’immaginario collettivo erano il calcio. Oggi, con l’avvento delle pay Tv, l’informazione è articolata in modo differente e non è più ipotizzabile quel tipo d’impatto. Indubbiamente ripensando a quei tempi un velo di malinconia scende, perché era un calcio in qualche modo romantico e pure un po’ magico, grazie anche all’abilità di quei grandi giornalisti. Il nostro compito è quello di adoperarci affinché in qualche modo, pur tenendo conto del mutato palcoscenico, quella magia possa ritornare. Essere in Rai è per me motivo di orgoglio, anche perché ci sono arrivata relativamente tardi e tramite concorso. Devo dirti però che ho ricordi di quando da adolescente sognavo questo approdo. E i sogni a volte si avverano”.

Quanto è ancora alto lo steccato di chi pensa che a “capire di calcio” debbano essere solo gli uomini?
“Il maschilismo è notevolmente diminuito, ma sarei bugiarda se dicessi che è scomparso. C’è una palese apertura che però non cancella qualche retaggio del passato, quando era convincimento comune che agli uomini spettasse la parte tecnica e alle donne tutt’al più un racconto asettico, legato a certi cliché di gradevolezza estetica e di competenza solo eventuale. Oggi la responsabilità di una qualche recrudescenza del fenomeno la distribuirei in parti uguali, tra uomini che ancora immaginano quella divisione dei compiti e donne che più o meno consapevolmente accettano questi cliché”.
Immaginavi di dover commentare le imprese del Frosinone in serie A? Quanto c’è di sorprendente in questa favola sportiva?
“Credo esistano due fasi ben distinte nel fenomeno Frosinone. Prima dell’avvento del presidente Stirpe non era davvero possibile ipotizzare quanto sarebbe accaduto e pertanto la prima promozione in A, ma anche la prima promozione in B del 2006, hanno avuto i contorni e le sembianze di un miracolo sportivo. Bene fa il presidente a ricordare sempre da dove si è partiti. Ora il Frosinone è una magnifica realtà, grazie alla straordinaria capacità e lungimiranza di un club che si è strutturato in modo manageriale e che fa della programmazione il proprio abito e la propria maniera di vivere il calcio. Mi pare che si stiano ponendo le basi per un possibile consolidamento della massima serie. Detto ciò, questo girone di andata è sorprendente e racconta tante belle storie, prima fra tutte quella di Di Francesco, un tecnico di valore che sta riprendendosi il posto che gli spetta nel panorama calcistico nazionale. La rosa del Frosinone è stata formata con grande competenza e i risultati sono palesi. I giovani sono un valore reale, non un accessorio o un semplice orpello, ma una risorsa vera. La strada è questa”.
Hai mai praticato sport a livello agonistico?
“Ho praticato prima il nuoto e poi il basket, come atleta tesserata nelle rispettive federazioni, ma a livello amatoriale ho anche provato col volley, beach volley e naturalmente calcio. Giocavo “a pallone” coi maschietti e me la cavavo benino”.
Quando metti lo sport in un cassetto, a quali letture ti accosti?
“Premettendo che molte delle mie letture sono sportive, devo dirti che non ho particolari steccati quando trovo il tempo per accostarmi a un libro. Leggo narrativa, saggistica e un po’ di tutto, senza preclusioni. Se devo indicare una preferenza mi piacciono testi che raccontino la storia del 900, perché ho tanta curiosità specifica e vorrei entrare in modo più compiuto in certe dinamiche che ancora presentano lati oscuri o comunque controversi”.
L’intervista impossibile. Dei tanti campioni che non ci sono più, chi ti piacerebbe ascoltare?
“Dico Johan Cruijff. Sono sempre stata affascinata dal calcio totale, che era insieme una poesia e una rivoluzione. Giocatore sublime e uomo intelligente, Cruijff è il simbolo di quel tipo di calcio, una figura carismatica e fascinosa. Davvero mi sarebbe piaciuto tanto intervistarlo e scoprire i piccoli segreti di una leggenda con gli scarpini”.
E in tema di leggende, chi ritieni il campione più iconico dello sport italiano?
“Anche qui ci sarebbe l’imbarazzo della scelta, ma dico Pietro Mennea. Lui è stato il simbolo del nostro sport anche perché ha portato un messaggio importante, quello che non si debba nascere superman per eccellere. Aveva una struttura fisica normale, o almeno così appariva. Poi è evidente che per arrivare dove è arrivato lui, anche madre natura debba aver fornito un contributo importante. Però il lavoro, l’applicazione, la caparbietà hanno sicuramente svolto un ruolo determinante. Per questo dico Mennea, l’uomo normale che diventa eroe”.

Dai un colore allo sport e uno alla vita.
“Il colore è lo stesso: il rosso. Il rosso è passione e sono le nostre passioni a rendere belle la vita e ogni sua declinazione”.
Se non avessi fatto la giornalista, cosa avresti voluto fare?
“Ho un altro grande amore, la musica. E allora la risposta è semplice: mi sarebbe piaciuto fare la cantante”.
La chiacchierata con Francesca Spaziani Testa, giornalista che apprezza Johan Cruijff, vuole scoprire i segreti del novecento, rimpiange il giusto non essere cantante e ricorda con amore una nonna calciodimensionata, potrebbe proseguire e toccare tanti altri temi, ma il dovere incombe. C’è un gran mare di gente (titolo di un racconto di Giovanni Arpino, giornalista e scrittore d’imperitura fama), che attende di sapere le news calcistiche. E allora lasciamo Francesca ai suoi compiti istituzionali, ringraziandola per la disponibilità e la pazienza. Per dirla con mamma Rai, signore e signori, buonasera.