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Lavoratore ‘perseguitato’ per sette anni dall’INPS. Mala-burocrazia: vince in Tribunale e al Tar, ma continua ad essere tartassato

Cesidio Vano
Lunedì scorso, i togati amministrativi hanno accolto in pieno il ricorso e dato 30 giorni di tempo all’Inps per cancellare il nominativo e annullare tutti gli atti emessi su questo caso
Marzo 31, 2022

Perseguitato per sette anni dall’Inps di Frosinone, che pretende il pagamento di contributi nonostante dal 2015 il Tribunale di Cassino abbia stabilito che nulla sia dovuto all’ente di previdenza.
E’ l’ennesima storia, tutta all’italiana, di mala-burocrazia, di responsabili irresponsabili e di funzionari distratti, che pensano più al 27 del mese che a fare bene il loro lavoro.
Questa volta, però, tutte le carte finiscono davanti alla Corte dei Conti per la valutazione delle eventuali responsabilità amministrative dei poco accorti burocrati dell’Istituto di previdenza sociale. E a trasmettere gli atti alla procura contabile sono stati i giudici del Tar di Latina, chiamati a far rispettare la sentenza del Giudice del lavoro di Cassino che, nonostante sia ormai cosa giudicata, l’Inps si ostina ad ignorare. Vittima, su malgrado, del delirio burocratico è un lavoratore del sud della provincia a cui
l’Inps, a seguito di alcune verifiche, contesta la mancata iscrizione, a far data dal 2008, alla gestione separata dell’istituto di previdenza.
La gestione separata Inps, per chi non è pratico, è la “cassa” a cui debbono versare i contributi per le prestazioni sociali tutti i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i lavoratori Co.co.co e volontari, in base al reddito percepito. L’iscrizione e i pagamenti sono obbligatori.
Il malcapitato, però, contesta la decisione e spiega all’Inps che sta sbagliando. L’istituto non solo insiste ma pretende il versamento di tutti gli arretrati e delle somme dovute per il presente e il futuro. La vicenda finisce davanti al Tribunale di Cassino, nella cui giurisdizione risiede il lavoratore. Per i contributi previdenziali è competente il giudice del lavoro che, esaminato il caso, nel 2015 stabilisce come sia “insussistente l’obbligo di iscrizione del ricorrente alla gestione separata dal 1° gennaio 2008 e, conseguentemente, insussistente l’obbligo di versamento dei contributi richiesti dall’Inps”.

La sentenza non viene impugnata dall’Istituto e passa in giudicato. La cosa sembra risolta. Il provvedimento viene anche notificato all’Inps e il nostro pensa che sia finita lì. Neanche per il cavolo:
all’Inps quella sentenza, forse, neanche la leggono; di certo non la capiscono e, comunque, non la applicano. Dall’Istituto di previdenza continuano a pretendere e chiedere il pagamento delle somme pregresse. Fanno di più: subissano il tartassato di istanze e diffide per ottenete i pagamento; inviano intimazioni; emettono cartelle di pagamento e quant’altro di infernale il fisco s’è inventato per piegare i ‘contribuenti’ più riottosi, costringendo il malcapitato cittadino a ricorrere, ad ogni nuova carta bollata, alla Commissione tributaria provinciale per ottenere la cancellazione del provvedimento.

Una situazione, prossima allo stalking-burocratico, che dal 2015 è andata avanti fino ai giorni nostri, tanto che lo scorso 15 dicembre, il povero cittadino tartassato, tramite gli avvocati Manlio Formica e Monica Cerrone, si è rivolto al Tribunale amministrativo regionale di Latina per ottenere l’ottemperanza alla sentenza del Giudice del Lavoro. In sostanza, i legali dell’uomo hanno chiesto al Tar – come prevedono le norme del diritto amministrativo – di ordinare all’Inps di conformarsi a quanto stabilito dalla magistratura cassinate e, qualora l’istituto di previdenza continuasse a fare orecchie da mercante, di
nominare un commissario ‘ad acta’.
Lunedì scorso, i togati amministrativi hanno accolto in pieno il ricorso e dato 30 giorni di tempo all’Inps per cancellare il nominativo del ricorrente dalla gestione separata oltre che annullare tutti gli atti emessi su questo caso. Inoltre, come richiesto dagli avvocati del malcapitato, l’Istituto è stato condannato a pagare una penalità di 50 euro per ogni giorno di ritardo nell’adempimento alla sentenza. Trascorsi i 30 giorni di tempo fissati, qualora l’ente previdenziale fosse ancora inadempiente, dovrà provvedere in sostituzione – quale commissario ad acta – il Direttore della Ragioneria Territoriale di Latina o un funzionario da lui delegato, il cui compenso sarà pagato dallo stesso Inps. L’Istituto è stato condannato anche alle spese di giudizio fissate in 1.500 euro oltre accessori di legge.

Ma è l’ultimo capo del dispositivo emesso dal Tar che forse può dare maggiore soddisfazione in questa
brutta vicenda. I giudici amministrativi, infatti, hanno ordinato “la trasmissione di copia della sentenza alla Corte dei Conti per le valutazioni di competenza in ordine a eventuali profili di responsabilità amministrativa dei funzionari dell’Amministrazione”. Quindi, per riassumere, l’ostinazione dell’Inps e la cecità di qualche suo funzionario hanno finora scomodato: il Tribunale di Cassino, il Tar del Lazio e la Corte dei conti.

E quanto è costato tutto questo alle casse dello Stato e quindi alle tasche dei cittadini?

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