Il Collegio del tribunale di Frosinone, presieduto dal dottor Ruscito, ha assolto ieri Peppe Patrizi che all’epoca in cui fu presidente della Provincia di Frosinone venne indagato e poi rinviato a giudizio insieme ad altre 20 persone per una vicenda relativa alle AIA, le autorizzazioni ambientali necessarie alle aziende per la loro attività.
Una vicenda che ha portato alla sbarra e a otto anni di sofferenze il politico di Ferentino che veniva accusato di aver raccolto le istanze di tutto il mondo imprenditoriale cercando (con lo scopo evidentemente di salvaguardare le imprese e l’occupazione, ma rispettando le norme) di snellire e velocizzare il rilascio delle autorizzazioni.
Difeso dagli avvocati Sandro Salera e Nadia Patrizi ieri per Patrizi è arrivata l’assoluzione insieme ad un grande di sospiro di sollievo.
Per la ricostruzione della vicenda davanti al Tribunale, in qualità di testimoni avevano sfilato l’ex prefetto Emilia Zarrilli, l’ex presidente del Consiglio Regionale Mario Abbruzzese e l’ex presidente di Unindustria Cassino, Davide Papa.
Soddisfazione anche per l’assoluzione di tutto gli altri imputati nel cui collegio difensivo figuravano , tra gli altri, gli avvocati Domenico Marzi, Marco Pizzutelli, Vincenzo Galassi e Tony Ceccarelli.
Alla fine tanto rumore per nulla e la realtà di un territorio che, anche per vicende come queste, continua ad arrancare alle prese con una burocrazia asfissiante e con una cultura del sospetto che danneggia irreparabilmente le iniziative imprenditoriali, la crescita e lo sviluppo.
PARTITI PRONTI ALLA SFIDA
Soltanto quarantotto ore, poi si apriranno i seggi alla Provincia per l’elezione di 12 consiglieri. Sono tutti concentrati, determinati, impegnati a non lasciare nulla al caso. E’ una sfida tra partiti e di conseguenza ha a che fare con l’orgoglio.
Ma Politica7 vuole ribadire alcuni concetti. La legge Del Rio ha stravolto (in peggio) le Amministrazioni Provinciale, togliendo loro fondi, risorse e personale, trasformandole in enti di secondo livello e svilendone il ruolo previsto dalla Costituzione. Neppure dopo la bocciatura del referendum la politica ha trovato il coraggio di fare quello che andava fatto, cioè riportare le Province al loro assetto originario. Con l’elezione diretta del presidente e dei consiglieri, con la previsione della giunta e con tutto il resto. Non c’è stato il coraggio di cancellare una riforma inutile e demagogica, concepita e attuata sull’onda lunga dell’antipolitica grillina.
I 12 consiglieri che saranno eletti venerdì sera avranno delle deleghe di carattere fiduciario da parte del presidente Luca Di Stefano. Nessuna possibilità di occuparsi sul serio di quelle materie, con un assessorato di riferimento, con una possibilità di spesa e di programmazione. Saranno delle “coccarde” e niente di più. Il consiglio provinciale ha competenze limitate e residue, in ogni caso mai vincolanti nei confronti del presidente, che resta il vero “dominus” della situazione. Il ritorno all’elezione diretta viene annunciato (con le fanfare) almeno due volte all’anno, ma poi non se ne fa nulla. Per mancanza di fondi, dicono. Per mancanza di volontà politica invece: nel 2014 non erano le Province a far “sballare” i conti dello Stato, nel 2023 non sarebbe certo la loro reintroduzione secondo le previsioni costituzionali a mandare l’Italia in default. Tutto sommato ai partiti fa comodo questo assetto: sono loro a decidere chi candidare e chi no, chi eleggere e chi far partecipare. Esattamente come accade alle politiche e per molti versi alle regionali.
L’Italia è una repubblica democratica fondata sulle segreterie dei partiti. Troppo crudo? Niente affatto, è così.
NUMERI E FASCE PONDERATE
Gli elettori sono 1.149: 91 sindaci e 1.058 consiglieri comunali. Si vota per i 12 seggi a disposizione. Cinque liste, nelle quali concorrono 47 candidati: la Lega ne schiera 12, Fratelli d’Italia 10, Forza Italia 7, La Provincia dei Cittadini (Pd, Azione, Italia Viva. Possibile e Demos) 9, Provincia in Comune di Luigi Vacana 9.
I Comuni che hanno l’indice ponderato più alto sono quelli di Frosinone e di Cassino (da 30.000 a 100.000 abitanti), inclusi nella fascia verde. Il voto di ognuno dei 58 amministratori vale 306 punti.
Seguono i 10 Comuni compresi nella fascia rossa (da 10.000 a 30.000 abitanti): Alatri, Anagni, Ceccano, Ferentino, Fiuggi, Isola del Liri, Monte San Giovanni Campano, Pontecorvo, Sora e Veroli. I votanti sono 170 e ogni preferenza conta 205 punti.
Altri 10 Comuni (da 5.000 a 10.000 abitanti) stanno nella cosiddetta scheda grigia: Arce, Arpino, Boville Ernica, Ceprano, Cervaro, Paliano, Piedimonte San Germano, Ripi, Roccasecca e Sant’Elia Fiumerapido. Ogni voto ponderato (ce ne saranno 130) ha un valore di 118 punti. Gli elettori sono 130.
Arrivano a 16 i Comuni (da 3.000 a 5.000 abitanti) che hanno un indice di ponderazione pari a 66. I grandi elettori sono 208. La scheda è arancione. L’elenco: Amaseno, Aquino, Atina, Castelliri, Castro dei Volsci, Castrocielo, Esperia, Morolo, Patrica, Piglio, Pofi, San Giorgio a Liri, San Giovanni Incarico, Serrone, Supino e Torrice.
Per completare il quadro ci sono i 53 Comuni più piccoli, fino a 3.000 abitanti. Tutti quelli che non sono compresi nelle “aree” precedenti. Parliamo di 53 sindaci e 530 consiglieri comunali, che in totale fanno 583. Ogni voto ponderato vale 30 punti.
Dal 2014 ad oggi si vota con questo schema e va detto che le percentuali di affluenza degli “addetti ai lavori” sono costantemente altissime.
Venerdì sera nei partiti ci sarà grande tensione. E seguirà una notte di festa per i vincitori e di silenzi per gli sconfitti. Sabato mattina, però, tutti si saranno resi conto che in realtà è stata una competizione per pesare la forza dei partiti. Nulla di più.