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La magia del calcio raccontata da tre campioni del mondo

Roberto Mercaldo
A Veroli una serata speciale, con Fulvio Collovati, Fabio Grosso e Francesco Repice
Luglio 20, 2022

Quel che sul calcio avreste voluto sapere e non avete mai osato chiedere… Uno scenario d’impatto, perché dinanzi alla Chiesa di Santa Salome anche il più scettico può sentirsi pervaso da un afflato mistico, un cielo stellato quanto basta a ricordarci che siamo piccini e circondati dall’immenso, un argomento che per tanti somiglia a una religione. Eh sì, perché il pallone, come lo chiama con grande senso della realtà Francesco Repice, campione del mondo dei radiocronisti, ha i suoi rituali, i suoi dogmi e le sue liturgie e come ogni religione affratella, regala un senso di appartenenza, rapisce l’anima e la porta in un luogo magico, dove nulla è impossibile. Quelli non contagiati dalla passione potranno continuare a dirci che non è molto razionale emozionarsi per quella doppia decina di uomini di giovane età che si contendono una sfera, nel rispetto di regole più o meno immutabili e comunque non dissimili da quelle 14 che tal Ebenezer Cobb Morley mise per iscritto nell’inverno del 1863. C’è l’economia, c’è l’ecologia, ci sono tensioni politiche che sfociano in conflitti, e voi dissipate la vostra curiosità e le vostre emozioni intorno a un mondo fatto di tiri a giro, parate, sovrapposizioni e corse a perdifiato su un prato verde? Ci soccorre suo malgrado tal Friedrich Nietzsche, non proprio uno sprovveduto, uno che ai massimi sistemi ha pensato eccome, con un aforisma meraviglioso: “Quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non sentivano la musica”. La nostra musica è fatta di ritiri, di spogliatoi uniti, di uomini che che decidono di prendersi la gloria e di regalare agli altri e a se stessi qualche attimo di gioia incontaminata. A cosa pensasse Fabio Grosso quando dal centrocampo si portava verso il dischetto per calciare l’ultimo rigore della finale mondiale ce lo siamo chiesti un po’ tutti.

A Francesco Repice, il tecnico del Frosinone, ex terzino degli azzurri di Lippi, ha dato una risposta per certi versi sorprendente: “Pensavo il meno possibile”. Perché a volte, come accadde allo stesso Grosso in una finale della Coppa di Francia, pensare troppo all’importanza di quel tiro, a ciò che comporterà buttarla dentro o meno, può essere più temibile di qualsiasi portiere, più paralizzante di un raggio sbucato da un film di fantascienza. Bearzot amava la storia, i classici, la cultura in senso ampio. Fulvio Collovati, stopper, (perché allora c’erano ancora lo stopper e il libero, poi arrivò l’era dei due centrali difensivi) forse aveva meno passione per le dinamiche fascinose del mondo greco e per le conquiste dei nostri progenitori. Sperava allora di non dover essere lui il piú vicino commensale del “vecio”, quando a tavola si condividevano momenti non necessariamente calcistici. Ma al “vecio” voleva un gran bene, come si legge nei suoi occhi chiari mentre parla di lui e del suo modo di difendere il gruppo. Paolo Rossi emaciato, dilaniato da una critica feroce e insensibile, dimentica dei suoi due anni di ingiusto stop, che sopporta con un sorriso gli sfottò di Ciccio Graziani. “Giocheremo di nuovo in dieci” lo pungola il centravanti viola, ex simbolo del Torino. Paolo da Prato, il centravanti più intelligente d’ogni epoca, capace di capire prima degli altri dove potrà finire un pallone e capace di avventarsi sullo stesso come un rapace, sorride. Stanno per iniziare le tre partite che riscriveranno la sua storia, quella dell’Italia e di tutti gli italiani, non piú impauriti dalle bombe e da un conflitto sociale che sa di morte e di dolore. Le tre partite contro Brasile, Polonia e Germania portano l’Italia nelle piazze, per una volta senza timori, a gridare la gioia, a sentirsi fratelli, non più rossi e neri. Tutti azzurri, tutti felici, da Aosta a Palermo. Francesco Repice nell’82 non aveva ancora il vezzo di raccontare mirabilmente quel che accade su un rettangolo verde. Era un tifoso, un giovane tifoso felice. E come un tifoso, ricorda quegli eroi: Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. In finale Antognoni non c’era e allora Bergomi se ne andò a confezionare con Gaetano Scirea l’azione conclusa con l’urlo più famoso della storia del calcio, quello di Marco Tardelli. Racconta, Fulvio Collovati, racconta cosa accadesse dietro le quinte. Imita Zoff. Strappa un sorriso quando ricorda che il portierone era in camera con Scirea. “Chissà che confusione”, sussurra, al ricordo di quei due taciturni accomunati dal carattere, dalla gloria calcistica, ma divisi nei destini, perché Gaetano portó presto in Cielo il suo modo silenzioso di essere un fuoriclasse. Brillano anche gli occhi di Fabio Grosso, brillano di luce gioiosa quando racconta quel 2006 delle meraviglie ma anche quando parla delle sue attuali aspirazioni, in una nuova veste ma con lo stesso amore. A cadenzare gli interventi, la grande eloquenza di Francesco Repice, innamorato del calcio, per nulla pudico dinanzi alle sue passioni che hanno colori ben definiti. Tanto è così bravo e così coinvolgente che sarà sempre il radiocronista di tutti. Bella serata, quella del Festival Nazionale dello sport raccontato. Bella e suggestiva, persino magica in certi momenti. E ci perdonino quelli che continuano a non sentire la musica… È il calcio: un giorno, forse, lo spiegheremo anche a voi…

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