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La crisi degli “azzurri”: di chi è la colpa? Un sistema che fa acqua, da rifondare

Roberto Mercaldo
Giugno 11, 2025
Luciano Spalletti

Italia: crisi di talenti? Senza dubbio. Non abbiamo in questo momento il numero 10, come Baggio, Del Piero o Totti. Non abbiamo i “guerrieri” dell’82, il sontuoso Conti, l’elegante Antognoni, il determinante Pablito e le “rocce” della difesa. Però non è ipotizzabile, pur partendo dall’oggettiva assenza di giocatori guida, che si rischi per la terza volta di fila di non partecipare alla fase finale del mondiale, noi che il mondiale lo abbiamo vinto 4 volte.
La goleada subita in Norvegia e la prova tutt’altro che brillante contro la Moldavia hanno rappresentato il passo d’addio di Spalletti, tecnico arrivato con legittime aspettative e salutato senza troppi rimpianti. Addossare però al trainer toscano ogni colpa sarebbe puerile e ingiusto. Certamente, come ha ammesso lo stesso Spalletti, le prime due gare di eliminazione del girone hanno mostrato alcuni giocatori logori, dopo una stagione estenuante. Sarebbe stato pertanto possibile “chiamare alle armi” qualcuno con un serbatoio di energie più consistente, ma è un ragionamento che si può fare con il senno del poi. Se fosse andata male, tutti con l’indice puntato verso il tecnico, per non aver chiamato i più esperti e i più affidabili. In realtà da qualche anno fatichiamo terribilmente a livello seniores, pur raccogliendo risultati importanti con le nazionali giovanili. Il corto circuito avviene nel momento in cui gli “Under” devono passare tra i grandi.
Perché ai migliori giovani non vengono affidate maglie da titolare nell’ambito di formazioni cadette o di squadre della massima serie che puntano alla salvezza? Perché ai migliori di essi non si dà spazio nei club che vanno per la maggiore? Interrogativi che sembrano non avere risposta. Fenomeni a 18-19 anni, nell’anonimato negli anni successivi, talvolta fino a scomparire dal calcio che conta.
Manca la mentalità per lanciarli nelle prime squadre o sono i procuratori a crear spazi a giocatori magari meno validi in prospettiva ma che possono presentare un “vissuto” ed un curriculum bastevoli per convincere i pavidi dirigenti dei nostri club?
Certo è che mentre gli altri lanciano in prima squadra Yamal (ora), Mbappé (qualche anno fa) e altri, senza argomentare su quali rischi di sovraesposizione e di responsabilità eccessive possano correre, noi abbiamo il culto del progredire per piccoli passi. Solo che poi regrediscono. Il no di Ranieri apre anche una curiosa situazione, perché forse è la prima volta che nemmeno i vertici hanno un’idea chiara di chi andrà a raccogliere l’eredità di Spalletti. Insomma, una gran confusione per ora. E tanta preoccupazione di non disputare il terzo mondiale di fila.

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