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La controffensiva di Zingaretti: inizia l’assedio ad Astorre. Tutti i retroscena della guerra dem nel Lazio

Licandro Licantropo
Nella riunione della direzione regionale di ieri del Pd è iniziato il pesante assedio al segretario Bruno Astorre, che però, nelle conclusioni, non ha ceduto su nulla. Si va alla “guerra”, non soltanto sulla candidatura alla presidenza della Regione, ma anche sugli assetti del partito a Roma e nel Lazio.
Luglio 5, 2022
Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti

Nicola Zingaretti ha deciso di rispondere e, con lui, Claudio Mancini, Goffredo Bettini e Roberto Gualtieri. Risultato: nella riunione della direzione regionale di ieri del Pd è iniziato il pesante assedio al segretario Bruno Astorre, che però, nelle conclusioni, non ha ceduto su nulla. Si va alla “guerra”, non soltanto sulla candidatura alla presidenza della Regione, ma anche sugli assetti del partito a Roma e nel Lazio. Come Politica7 aveva anticipato.

IL SEGRETARIO SOTTO ACCUSA

Non si è votato alcun documento per una sola ragione: questo avrebbe reso evidente una spaccatura profonda e insanabile. I presenti alla riunione erano pochi per far capire che la situazione è seria. Un segnale. Ma chi è intervenuto ha messo sul banco degli imputati politici il senatore Astorre. Dicendo che nel Lazio il partito ha perso di brutto e deve risponderne lui, che non esiste una linea e che soprattutto insistere con le primarie è profondamente sbagliato perché lacera il partito, trasformando quell’appuntamento in un congresso anticipato. Lo hanno detto gli zingarettiani, i manciniani, gli ex dalemiani che stanno con Goffredo Bettini, gli uomini di Roberto Gualtieri e di Albino Ruberti. Accusando Astorre di comportarsi come il segretario di AreaDem di Dario Franceschini, non come il rappresentante di tutto il partito. Bordate su bordate. Ma in particolar modo, secondo la Santa Alleanza costituita “contro” Astorre, le primarie con Daniele Leodori, Alessio D’Amato e Marta Bonafoni sarebbero sostanzialmente le primarie esclusivamente del Pd. Una specie di congresso regionale celebrato prima del tempo. Invece, per rendere davvero utili le primarie, le stesse dovrebbero essere di coalizione. Con un candidato del Pd e con esponenti di altre forze politiche. Il retropensiero del ragionamento è fin troppo evidente: mettere in campo l’ex presidente della Provincia di Roma Enrico Gasbarra. A questa soluzione continuano a lavorare Zingaretti, Gualtieri, Mancini, Bettini e Ruberti. Più determinati che mai. Non è neppure tramontata l’idea di proporre a Daniele Leodori (candidato di Dario Franceschini e Bruno Astorre) di restare un altro mandato in giunta nel caso di successo di Gasbarra per poi presentarsi alle europee in posizione blindata. Leodori ha già risposto no, ma il pressing continuerà. Per cercare anche di spezzare l’asse tra lo stesso Leodori e Alessio D’Amato sulla celebrazione delle primarie. Tra gli obiettivi c’è quello di spodestare Bruno Astorre da segretario regionale del partito.

LA ROTTURA FRANCESCHINI-ZINGARETTI

A Cortona il ministro della cultura Dario Franceschini aveva lanciato un siluro nei confronti del Governatore del Lazio. Difendendo il ruolo delle correnti. Affermando: “Se le correnti sono i luoghi in cui si pensa e si discute, ci si aggrega intorno alle idee, alle leadership, allora sono il bene del partito e mi dispiace che un segretario nazionale (ndr: Zingaretti) se ne sia andato denunciano il mal di correnti, ma capita di sbagliare”. Immediata la replica di Enzo Foschi, vicesegretario del Pd Lazio e zingarettiano di ferro: “Le correnti di oggi con il pluralismo delle idee non c’entrano nulla: servono solo a togliere il potere agli iscritti, agli amministratori, ai militanti e agli elettori e lo danno ai capi corrente per trattare posti. Servono poco all’Italia e molto a chi fa il capo. Spero davvero non sia questa la deriva che prenderà il Pd”.

Segnali di “guerra”. Nelle conclusioni in sede di direzione regionale il segretario Bruno Astorre ha ribadito la sua posizione: si fanno le primarie, il 13 novembre. Perché, come dispone lo statuto del partito, quando ci sono più candidati, si procede in questo modo. Dunque, se Enrico Gasbarra vuole provarci, che accetti di con confrontarsi con Daniele Leodori, Alessio D’Amato e Marta Bonafoni. Un guanto di sfida gettato in faccia Zingaretti, Bettini, Mancini, Gualtieri e Ruberti. I quali non hanno rinunciato affatto all’idea di indicare Gasbarra alle loro condizioni, con le loro regole di ingaggio. Saltando le primarie, ritenute un modo per spaccare il partito. Alle parole di Dario Franceschini, Nicola Zingaretti aveva risposto in questo modo: “Nessuna polemica con Dario. L’analisi sulla situazione politica italiana la condivido, mentre sul partito abbiamo sempre avuto idee diverse ma nessuna polemica, non è un dramma. In questi anni abbiamo lavorato benissimo insieme. E ora con Letta guardiamo avanti il più uniti possibile”. La risposta vera è arrivata in direzione regionale con l’assedio a Bruno Astorre e le poche presenze per far capire al segretario che la musica è cambiata. Il senatore dei Castelli romani non si è scomposto più di tanto però, rilanciando e riunendo i fedelissimi nella tarda serata di ieri. Nessun passo indietro, si andrà allo scontro: Dario Franceschini e Bruno Astorre da una parte, Nicola Zingaretti, Roberto Gualtieri, Goffredo Bettini, Claudio Mancini dall’altra. Con questi ultimi ci sarà Pensare Democratico di Francesco De Angelis. Il fatto che nelle ultime settimane i rapporti tra lo stesso De Angelis e Albino Ruberti siano “gelidi” non c’entra nulla.

I SONDAGGI NON SORRIDONO A ZINGARETTI

Il risultato di Governance Poll 2022 è molto chiaro: Nicola Zingaretti è penultimo come popolarità tra i Governatori, con appena il 37%. L’anno scorso era al 43%. Ha lasciato sul campo il 6%: evidentemente hanno pesato le mancate scelte sui rifiuti e una gestione amministrativa senza “squilli” veri. L’eccessiva concentrazione sull’accordo con il Movimento Cinque Stelle ha fatto passare in secondo piano tutto il resto. Un risultato davvero molto deludente. Intanto Fratelli d’Italia attacca. Lo fa con il capogruppo alla Regione Fabrizio Ghera, che dice: “I commissari nominati da Zingaretti avevano mandato di liquidarle in tre mesi, ma sembra proprio che non ci pensino affatto”. L’oggetto sono le Comunità Montane. Continua Ghera: “Intanto dopo trenta mesi di commissariamento i costi di questo apparato sono lievitati sino al milione di euro circa. Ancora una volta il Pd al governo del Lazio premia l’incapacità o per meglio dire l’inutilità considerando che già nel 2016 l’ente di via Colombo aveva deciso di sopprimere le Comunità Montane. Salvo poi commissariarle ben tre anni dopo. Zingaretti dovrebbe spiegare perché i 22 incaricati delle liquidazioni non sono stati rimossi, data la loro inefficienza. Di certo lo stipendio di 1.500 euro per i commissari e i 750 per i subcommissari rappresentano un forte esborso per le casse regionali. Sarebbe opportuno che la maggioranza Pd-Cinque Stelle facesse chiarezza sul futuro delle Comunità Montane”.

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