A livello nazionale ha vinto il centrosinistra voluto da Enrico Letta, con lo schema del Campo largo, conquistando 7 dei 13 capoluoghi al ballottaggio, tra i quali Verona, storica roccaforte di un centrodestra che si è diviso e all’interno del quale inizia adesso una resa dei conti imprevedibile, visto che alla fine il punto è che Silvio Berlusconi e Matteo Salvini non gradiscono la leadership di Giorgia Meloni. Il Comune di Frosinone è in controtendenza: il centrodestra unito stravince con Riccardo Mastrangeli. Mentre lo schema del Campo largo frana al secondo turno e mette sul banco dei responsabili politici il Governatore del Lazio Nicola Zingaretti. Oltre che nel capoluogo ciociaro bisogna registrare la disfatta di Viterbo, dove l’assessore regionale Alessandra Troncarelli non è mai entrata in partita.
LA LEZIONE DI FROSINONE
Intanto, come abbiamo avuto modo di scrivere a caldo, ha vinto Riccardo Mastrangeli. Con la sua forza, il suo stile, la sua capacità di non rispondere a provocazioni e ad attacchi personali, con la sua intuizione che il centrodestra doveva cambiare pelle. Quando Antonio Conte lasciò la panchina della Juventus, in tanti pensavano al tracollo dei bianconeri. Poi è arrivato Massimiliano Allegri, autore di un ciclo irripetibile. Mastrangeli, subentrando ad Ottaviani, può fare la stessa cosa.
Ha vinto Nicola Ottaviani perché al termine del doppio mandato vede garantita la “continuità” e non è mai semplice in un capoluogo di provincia come Frosinone. La sua “civica” ha 5 consiglieri comunali e indicherà assessori, ma da questo momento in poi si capirà se davvero Ottaviani vuole lasciare il campo completamente libero a Mastrangeli oppure intende continuare a dire la sua sapendo di essere “ingombrante”. Ha vinto soprattutto Fratelli d’Italia: il senatore Massimo Ruspandini e il portavoce cittadino Fabio Tagliaferri hanno mantenuto l’unità del centrodestra quando in tanti (Ottaviani compreso) non vedevano l’ora di accompagnarli alla porta. Hanno individuato in Mastrangeli l’interlocutore. Vantano 4 consiglieri e saranno protagonisti: infine, sono il partito leader del centrodestra anche nel capoluogo. Un capolavoro. Hanno vinto i Massimiliano Tagliaferri, gli Adriano Piacentini, gli Antonio Scaccia e tutta quella spina dorsale di un centrodestra radicato e sempre capace di prendere voti, tanti voti. Davanti ci sono altri cinque anni di governo, con la possibilità di opzionarne altri cinque. Il terzo successo di fila al Comune capoluogo mette il centrodestra nelle condizioni di rivoluzionare gli equilibri politici in Ciociaria. Vincendo alla Provincia e alle regionali. Con la ricetta dell’unità.
IL RUOLO DEGLI ALTRI
Dopo il primo turno Alessandra Sardellitti si è resa conto immediatamente che bisognava fare subito delle scelte nette. La capolista di Azione si è schierata con Riccardo Mastrangeli e con il centrodestra, portandosi dietro i candidati della lista. Mauro Vicano lo ha fatto dopo qualche ora, consumando una frattura profonda con Francesco De Angelis, Domenico Marzi e tutto il Pd. Senza ripensamenti: d’altronde era stato immolato sull’altare del Campo largo in maniera brutale e cinica. Il Partito Socialista ripete da anni che in provincia di Frosinone la spaccatura con il Pd non è sanabile. Vincenzo Iacovissi ha fatto una campagna elettorale “alternativa” raggiungendo il 6%. Schietroma non poteva gettare a mare tutto questo e rispondere sì alla richieste del “contrordine compagni”. Era semplicemente impossibile.
LA SCONFITTA DI ZINGARETTI E DEL MODELLO DEMOCRAT
Il principale sconfitto è Nicola Zingaretti: il presidente della Regione Lazio ha puntato su un modello di Campo largo che nel Lazio non esiste: le disfatte di Frosinone e Viterbo lo dimostrano. Non può esserci l’asse con un Movimento Cinque Stelle imploso da tempo. Adesso il Governatore ha due strade: fare autocritica e resettare tutto. Oppure andare avanti, per esempio con la candidatura alla presidenza della Regione di Enrico Gasbarra, che innescherebbe la “guerra” tra Bruno Astorre e Goffredo Bettini e manderebbe in pezzi l’intera alleanza. Vedremo. Il ridimensionamento politico di “Zinga” è sotto gli occhi di tutti, anche di Enrico Letta e Dario Franceschini. Domenico Marzi ha fatto quello che ha potuto arrivando ad un ballottaggio nel quale credevano in pochissimi. Il Pd è il primo partito di Frosinone, ma questo non può consolare. Ad uscire sconfitto dalle comunali di Frosinone è il modello Democrat creato in tutti questi anni. Francesco De Angelis è stato bravo a mettere in piedi una coalizione comunque competitiva dopo i cambiamenti in corsa imposti da Roma. Ma il suo Pd in Ciociaria esprime il presidente della Saf, del Consorzio unico e prima ancora dell’Asi e del Cosilam. Guida tutti i principali enti intermedi e tanti Comuni. Inoltre governa la Provincia e soprattutto la Regione, che alla fine nomina i direttori generali delle Asl. Nonostante tutto questo sistema di potere, il Pd perde a Frosinone, Viterbo e Rieti, mentre a Latina si deve accontentare di una vittoria di Pirro. Vero che si è conquistata Roma, ma quel risultato è stato determinato al 98% dalla scelta sbagliata del centrodestra sul candidato a sindaco. Il Pd governa ma non vince più in Ciociaria quando votano i cittadini. Una riflessione è inevitabile, iniziando dalla classe dirigente. Impossibile fare spallucce. Il Campo largo non ha funzionato perché non sono arrivati i voti. A parte quelli del Pd e della Lista Marzi. Inesistenti i Cinque Stelle, deludenti la Piattaforma Civica di Luigi Vacana, Frosinone in Comune di Stefano Pizzutelli e perfino la Lista di Michele Marini. Polo Civico appena sufficiente, ma non ha spostato gli equilibri. Il crollo dell’affluenza è un fenomeno mondiale ed europeo, prima che nazionale. Succede anche a Frosinone: dovremo abituarci considerando la crisi della democrazia rappresentativa.
Ha vinto Riccardo Mastrangeli: tutto il resto è noia.