La Procura di Perugia mette sotto inchiesta un autentico pilastro della magistratura pontina. Le indagini che hanno portato all’arresto di Giorgia Castriota, giudice per le indagini preliminari in servizio al tribunale di Latina, e di Silvano Ferraro e Stefania Vitto, collaboratori nell’ambito di procedure di amministrazione giudiziaria, nascono dalla denuncia presentata dal rappresentante legale pro tempore di diverse società, tutte riconducibili allo stesso gruppo operante nel settore della logistica, sequestrate nell’ambito di un procedimento incardinato per reati tributari alla Procura della Repubblica di Latina.
Nello specifico, si legge nella nota della Guardia di Finanza, l’imprenditore lamentava irregolarità e condotte non trasparenti che vi sarebbero state nella gestione dei compendi aziendali sequestrati e che, secondo quanto da lui prospettato, sarebbero state poste in essere dagli amministratori giudiziari e dal coadiutore, con l’avallo del giudice per le indagini preliminari. Le indagini sono state delegate ai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Perugia e sono in corso, da parecchi mesi. In particolare, attraverso l’esame di tabulati telefonici, servizi di osservazione, controllo e pedinamento, acquisizione di documentazione bancaria, disamina delle movimentazioni finanziarie dei soggetti coinvolti e, soprattutto, attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, che, ancora una volta, sono risultate assolutamente determinati ai fini investigativi, per l’individuazione dei gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati.
Quello che è emerso – spiega la Gdf in una nota – è l’esistenza di una rete di rapporti amicali e di frequentazione fra i vari soggetti che, all’interno dell’amministrazione giudiziaria, hanno percepito e stanno tuttora percependo compensi particolarmente cospicui. Secondo quanto accertato dagli investigatori, il conferimento degli incarichi sarebbe avvenuto al di fuori di qualsiasi criterio oggettivo e soprattutto in contrasto con il divieto di assumere il ruolo di amministratore giudiziario e coadiutore da parte di coloro che hanno, con il magistrato che conferisce l’incarico, una “assidua frequentazione, quella derivante da una relazione sentimentale o da un rapporto di amicizia stabilmente protrattosi nel tempo e connotato da reciproca confidenza, nonché il rapporto di frequentazione tra commensali abituali”.
L’ORDINANZA
Nell’ordinanza di custodia cautelare si lascia intravedere “un chiaro quadro di accordo corruttivo e di vendita della funzione, nel quale soggetti nominati… [dal giudice]… all’interno dell’amministrazione, già legati … da rapporti personali pregressi, retrocedevano al Magistrato, sotto forma di contributo mensile ed altre regalie, parte del denaro… [che lo stesso giudice]…liquidava loro per l’adempimento degli incarichi”.
Nei capi di imputazione per i quali è stata emessa ordinanza cautelare sono contestate anche altre utilità (quali gioielli, orologi, viaggi e un abbonamento annuale per assistere in tribuna d’onore dello stadio Olimpico alle partite di una squadra calcio) che il giudice avrebbe percepito dai soggetti inseriti nell’amministrazione giudiziaria. Nella misura cautelare, sono, infine, indicati plurimi atti contrari ai doveri d’ufficio che il Giudice di Latina avrebbe tenuto nella gestione delle società raggiunte da sequestri.
Si tratterebbe di condotte come l’omessa vigilanza o la mancata denuncia di attività illecite da parte degli ex amministratori, ma anche di condotte attive, come l’intenzione di portare le società al fallimento e nominare curatori gli stessi professionisti, con lo scopo, verosimilmente, di mantenere il controllo sulla procedura e non perdere la fonte di guadagno oltre a quello di tutelare sé stesso da ingerenze esterne e da eventuali soggetti estranei, che avrebbero potuto evidenziare le criticità o la mala gestio dell’amministrazione giudiziaria.
IL FLOP DELL’INCHIESTA A TERRACINA
Proprio la gip Giorgia Castriota aveva firmato la famosa ordinanza che aveva decapitato la precedente amministrazione comunale di Terracina, nell’ambito dell’inchiesta ‘Free Beach’. Un impianto che è stato di fatto sconfessato dai provvedimenti del Tribunale del Riesame di Roma. Era d’altronde apparso evidente che in questa inchiesta non sembrava rinvenirsi alcun tornaconto personale da parte di politici o funzionari. Mai una tangente, lavori fatti in casa da parte di una ditta aggiudicataria di un appalto comunale o un’assunzione.
Terracina è sembrata essere stata vittima di un clima di odio messo in piedi per colpire a suon di esposti, illazioni, pettegolezzi, un europarlamentare, come Nicola Procaccini, in piena ascesa e con l’unico intento di infangarne il nome, gettando un’ombra sulla gestione amministrativa degli ultimi anni. Terracina insomma è stata usata come un’arma contundente per colpire Fratelli d’Italia. A distanza di 9 mesi dal ciclone giudiziario che ha spazzato via una giunta comunale, la sensazione più diffusa è quella di un vergognoso abuso di potere volto a colpire in maniera indiscriminata una classe politica amministrativa. Una giustizia ad orologeria che ha fatto emergere tutte le contraddizioni di una magistratura che rischia di perdere credibilità, per colpa di alcune ‘pecore nere’.