Visto che non ci siamo fatti mancare nulla, è possibile che oggi qualcuno rompa un silenzio elettorale che non ha senso, soprattutto dopo il frastuono che abbiamo dovuto registrare in queste ultime due settimane. Ieri sera i comizi di chiusura di Riccardo Mastrangeli e Domenico Marzi al termine di una giornata di ordinaria tensione, l’ultima di una serie lunghissima. Marzi ha partecipato da solo al confronto a piazzale Vittorio Veneto che aveva organizzato.
Nella tarda mattinata su facebook aveva scritto: “Mi segnalano che l’altro candidato non si presenterà al confronto pubblico in piazza Vittorio Veneto… Una mancanza di rispetto assoluta verso la città”. Poi, quando l’evento era iniziato: “In diretta il confronto con il candidato Riccardo Mastrangeli, che ha deciso legittimamente di non presentarsi”. Riccardo Mastrangeli aveva replicato sui social: “Il candidato del Pd, dopo aver perso tutti i confronti, durante la prima parte della campagna elettorale, adesso ama farci sorridere… si inventa un altro confronto sopra un palco, con domande e risposte che vorrebbe fare lui, per tutti e due”. Entrambi sapevano che non c’erano le condizioni per un appuntamento del genere, che ha rappresentato invece l’occasione per galvanizzare le rispettive truppe.
NON SOLO LA FASCIA TRICOLORE
Domani sera Frosinone avrà il nuovo sindaco, ma in gioco non c’è soltanto questo. C’è anche la supremazia politica nel capoluogo e quindi in provincia. Lo ha detto senza nascondersi giovedì sera il senatore di Fratelli d’Italia Massimo Ruspandini. Ricordando che si tratta di una partita delicata che vede su fronti contrapposti due modelli diversi e inconciliabili. Allargando il ragionamento a livello regionale e nazionale: da una parte c’è il Pd che da anni governa indipendentemente dai risultati elettorali, dall’altra un centrodestra alle prese con un cambiamento di equilibri evidente e complicato. Il punto è: Matteo Salvini e Silvio Berlusconi accetteranno la leadership conquistata sul campo da Giorgia Meloni? Non bisogna nascondersi.
Al Comune di Frosinone la situazione è in parte diversa, ma comunque il risultato di Mastrangeli e Marzi determinerà effetti sulle coalizioni e sui leader delle stesse. Vincere o perdere a nel capoluogo condizionerà moltissimo la corsa alla presidenza della Provincia e gli assetti degli enti intermedi. In attesa poi delle regionali del prossimo anno, l’appuntamento al quale davvero tutti guardano.
L’IRRITAZIONE DI ASTORRE VERSO PENSARE DEMOCRATICO
Mercoledì 1° giugno a piazza Garibaldi, in occasione dell’appuntamento con Enrico Letta, il segretario regionale del Pd, rivolgendosi a Francesco De Angelis, disse: “Francé, se la semo lavorata, ‘nzomma”.
Nel senso che costruire il Campo largo a Frosinone era stata un’impresa, perché aveva significato “sacrificare” Mauro Vicano, convincere Michele Marini a sostenere Domenico Marzi e tenere dentro il Movimento Cinque Stelle. I due, Astorre e De Angelis, sembravano in piena sintonia. Ora invece pare che Bruno Astorre non voglia neppure sentir parlare di Pensare Democratico, la componente di De Angelis ma anche di Mauro Buschini e di Sara Battisti. Il motivo è la candidatura alla presidenza della Regione Lazio. Dopo che De Angelis e Buschini si erano fatti fotografare in prima fila all’annuncio della discesa in campo di Daniele Leodori, la situazione è bruscamente cambiata. Pensare Democratico è pronta ad appoggiare Enrico Gasbarra, come Nicola Zingaretti, Claudio Mancini e Goffredo Bettini. Bruno Astorre è uno dei generali di AreaDem, la potente componente del Pd guidata dal ministro della cultura Dario Franceschini. Nella stessa corrente c’è il vicepresidente del Lazio Daniele Leodori, evidentemente ritenuto sacrificabile da chi vuole schierare Gasbarra.
Bruno Astorre viene da una scuola democristiana di altissimo livello e quindi non lo sentiremo mai attaccare frontalmente gli avversari, specialmente se interni. Però se l’è legata al dito. Forse arriveranno delle smentite dovute, ma la situazione è quella che vi abbiamo rappresentato. La battaglia interna sarà tutta tra AreaDem e Zingaretti-Mancini-Bettini. Vedremo se Enrico Letta deciderà di arbitrare, di schierarsi o di trovare una sintesi.
La resa dei conti tra Bruno Astorre e l’area di Francesco De Angelis ci sarà invece quando si dovranno decidere le candidature al Senato, alla Camera e alla Regione. Intanto con Astorre si è posizionato il presidente della Provincia Antonio Pompeo, con la sponda importante di Simone Costanzo. Ne vedremo delle belle.
LA SCIABOLA DI CALENDA
Mentre nella “galassia centrista che non c’è ”in tanti hanno iniziato a tessere le lodi di Luigi Di Maio, appena uscito dai Cinque Stelle, il leader di Azione ha dimostrato ancora una volta la sua vocazione a nuotare controcorrente. Ha detto: “Di Maio non è credibile e il problema è chi lo segue. In un Paese normale Di Maio dovrebbe dire: “Vado a riflettere sui danni che ho fatto”. E invece ora rinnega il populismo e parla di competenza”. Calenda ha pure chiarito la sua posizione in merito al “Centro che non c’è”: “Queste frattaglie, questi ipotetici centri, queste piccole operazioni serviranno per contrattarsi un posto a destra o a sinistra. A noi non interessa: faremo una cosa diversa con Emma Bonino e con tutti quelli che sceglieranno la nostra strada: ci presenteremo da soli. Forse è la strada più complicata, ma è l’unica per cui vale la pena fare politica”.
Dimostrazione di coerenza e coraggio: Azione non sta con il centrosinistra e nemmeno con il centrodestra. Il problema è che però il Pd pensa che Calenda debba per forza entrare nel Campo largo. Lo ha dato per scontato, relativamente alle comunali di Frosinone, l’onorevole Francesco Boccia. L’ex ministro dello sviluppo economico non vede differenze tra i Cinque Stelle di Giuseppe Conte e gli ex pentastellati come il ministro degli esteri Luigi Di Maio. Enrico Letta e soprattutto Nicola Zingaretti sono avvisati.