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Flavio Tranquillo e Antonello Riva, quando il basket diventa racconto di vita

Roberto Mercaldo
Malagò, massimo dirigente dello sport italiano, intervistato in video collegamento. Prosegue a Veroli il “Festival dello sport raccontato”
Luglio 18, 2023

Ancora lo sport e le sue spesso complesse ma sempre fascinose tematiche al centro della calda estate verolana. Davvero succulento il “menù” della terza giornata dell’ormai tradizionale rassegna riservata allo sport raccontato. Intorno alle 20, presso la Galleria La Catena, in collegamento video, il responsabile del nostro Comitato Olimpico, Giovanni Malagò, ha risposto con grande disponibilità alle domande postegli dal professor Paolo Sellari.

In merito al palese contrasto tra i risultati eclatanti conseguiti a Tokio e la persistente carenza strutturale, aggravata da un progressivo allontanamento della pratica sportiva dalle scuole e dalle università, il numero uno del Coni è stato chiaro e perentorio. Malagò ha infatti affermato che solo per sperare di poter avvicinare un risultato così significativo, occorrerebbe una vistosa ed immediata inversione di tendenza. Il massimo dirigente ha fornito un rapido excursus sulle vicende dello sport italiano, evidenziando come certi risultati siano stati possibili solo grazie all’impegno feroce di associazioni sportive dilettantistiche che hanno creato una base capace di surrogare quel che a livello di istituzioni era stato lasciato indietro.

Anche la ripartizione dei fondi del Pnrr ha ribadito la scarsa attenzione alle tematiche dello sport. In sostanza esistono due differenti flussi di energia, l’uno virtuoso e persino frenetico nel tentativo di dare impulso e lustro allo sport come veicolo sociale e come base per raggiungere i risultati straordinari che l’Italia è riuscita a conseguire, l’altro decisamente meno attento a queste tematiche e purtroppo più consistente in termini numerici. Se a questo si aggiunge un decremento demografico, ne deriva una grande difficoltà a tirar fuori eccellenze, specie in quelle discipline che hanno una base di praticanti mondiali particolarmente ampia.

In merito all’ormai vicina Olimpiade Invernale che l’Italia ospiterà nel 2026 nella sede di Milano Cortina, Malagò ha espresso la speranza che il grande lavoro possa portare a cogliere appieno questa enorme opportunità che il nostro Paese si è procurato. Due miliardi di telespettatori e l’Italia al centro del mondo sportivo non possono e non devono essere una vetrina rutilante ma transitoria e ciò che sarà fatto in termini d’impiantistica dovrà restare per gli anni a venire e rappresentare una reale base di crescita.
In merito all’avanzata del mondo arabo, che sembra intenzionato a comprare i campioni delle sport, partendo dal calcio, Malagò ha espresso piena fiducia nelle capacità dell’Europa di tener botta, sempreché non si compiano errori di sottovalutazione del problema.
La video intervista si è conclusa con l’invito del Sindaco di Veroli, Simone Cretaro, al massimo dirigente dello sport italiano, che ha promesso la sua presenza a Veroli in un futuro prossimo.

RIVA, LA LEGGENDA DEL BASKET

Un uomo d’altri tempi che vive il nostro tempo. Così lo ha definito Flavio Tranquillo, la voce più autorevole del basket in Italia. E in effetti Antonello Riva, il cestista più prolifico di sempre dello Stivale, ha un modo garbato e quasi aristocratico di porsi. Parla di sé quasi fosse stato uno dei tanti, mentre lui in realtà è il basket, come D’Antoni, Meneghin e pochissimi altri uomini simbolo di questa disciplina. Quasi 15mila punti realizzati nel massimo campionato, tanti trofei in bacheca e una passione indomita che lo portò a giocare anche a un’età in cui i più tirano i remi in barca. Poi dieci anni da dirigente, condotti in modo scrupoloso, senza sconti per sé, tanto che a un certo punto ha sentito la necessità di dire basta e di staccarsi da quel mondo che gli era appartenuto nel modo più bello.

Un predestinato, in uno sport che poi ha avuto, oltreoceano, il prescelto. Lui non ha guadagnato come LeBron, anche perché quando iniziò a giocare lo status dei cestisti italiani era quello dei dilettanti.
“Facevamo riunioni carbonare perché volevamo diventare professionisti”, racconta a Flavio Tranquillo e ai presenti in Piazza Santa Salome, tra ventagli, sorrisi, odore d’estate e di nostalgia, quella buona, che ti porta su un tappeto volante dal quale vedi un Palazzetto gremito e un ragazzino di 18 anni, forte come un toro, rapido, devastante, per dirla con Flavio Tranquillo, semplicemente immarcabile.
Antonello Riva spiega la sua grandezza esaltando quella altrui: “Ho avuto la fortuna di avere dei playmaker eccezionali, capaci di regalarmi palloni eccellenti da tradurre in canestro. Marzorati era uno dei giocatori più forti d’Europa.

Ricordo che quando gli strinsi la mano per la prima volta provai una scossa, come nei film dei supereroi. Era davvero un giocatore eccezionale, e anche in azzurro ho sempre avuto dei compagni di grande bravura in quel ruolo delicato, come Caglieris, Brunamonti. Quel che mai scorderò però è il mio primo allenamento con Milano, quando D’Antoni mi passò il pallone una frazione di secondo dopo che ero uscito dal blocco. Lui era davvero un mago, un giocatore unico”.

Fu anche suo allenatore, capace di calarsi così bene nel ruolo da togliere il vino ai senatori. “Pensavamo fosse uno scherzo, invece diede disposizioni ai camerieri dell’Hotel in cui stavamo mangiando di non servire il vino ad alcuno. Era un messaggio chiaro: non sono più il vostro compagno di squadra, ma il vostro coach”. La serata prosegue, con Flavio Tranquillo, un fuoriclasse del suo ruolo, a evocare immagini, ricordi, sostanza di una carriera straordinaria.

In NBA Riva non andò, perché dopo l’Olimpiade del 1984, che gli era valsa le attenzioni di Golden State, Antonello s’infortunò seriamente nel 1985 e il passaggio in America non si concretizzò. All’epoca giocare in NBA avrebbe comportato l’esclusione dalla squadra azzurra, e l’impossibilità di rappresentarla ai Giochi.
Erano gli anni in cui gli Stati Uniti partecipavano ai Giochi con atleti provenienti dalle Università. Un altro basket, forse un po’ ipocrita per dirla tutta, perché quello status di dilettante non era poi così genuino. Erano gli anni del “quintetto base”, non già uno starting five flessibile e adattabile, ma una scelta di campo decisa. E il vate Bianchini talvolta escludeva Antonello dal quintetto di partenza, per avere “una belva affamata” da mettere sul terreno di gioco a gara iniziata.

Antonello Riva era il simbolo di Cantù e l’emblema dei successi tra i confini e all’estero. Nell’89 però cambiò squadra assicurando al club, con i proventi della sua cessione a Milano, altri anni di grande basket. Per la gente però era il traditore, l’uomo che aveva rinnegato Cantù. E alla prima da avversario, niente targhe nè applausi, ma insulti per 40’.

Era l’Italia del tifo esasperato, quella che, come sottolinea Flavio Tranquillo, non riconosceva a un lavoratore del basket il diritto di cambiar datore di lavoro: sportivi croce e delizia, tra polveri e altari, capaci di muovere passioni estreme. Chissà se ora hanno capito che la scelta fu della società e che non ci fu alcun traditore, ma solo una scelta fors’anche lungimirante, per certo scomoda, del club.
Riva l’immarcabile, i suoi “trentelli” frequenti, le sue poche ma significative delusioni e ancora gli stati d’animo, le scelte, i sogni e i ricordi sembrano danzare con un buon senso del ritmo sotto il cielo d’estate.
Chissà dove vanno i ricordi, forse in un luogo dove non perdono intensità e colore.

Riva “Nembo Kid” ora ha 60 anni, un fisico erculeo, due nipotini che lo guardano e che prende in braccio con amore. Tocca ad altri gonfiar retine e far saltare in piedi un palazzetto gremito, ma nessuno potrà mai oscurare l’immagine del bomber di Rovagnate, forte ed esplosivo come un supereroe, che fa canestro da fuori, in penetrazione, dalla media distanza, fa canestro come fosse la cosa più naturale del mondo e a quasi 15000 pensa che in fondo possa bastar così.

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